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Hrc Learning Square e Adpatability– di cosa abbiamo parlato?

Hrc Learning Square e Adpatability– di cosa abbiamo parlato?

Lo scorso 30 marzo ho parlato di Adattabilità e di Jemma Adaptability Index in occasione del #LearningSquare di HRC Community – MyHRGoal. Learning Square è lo spazio di apprendimento giornaliero offerto da HRC a tutta la sua Community per 𝑓𝑜𝑟𝑚𝑎𝑟𝑠𝑖 𝑒 𝑡𝑒𝑛𝑒𝑟𝑠𝑖 𝑎𝑙 𝑝𝑎𝑠𝑠𝑜 𝑐𝑜𝑛 𝑖 𝑡𝑒𝑚𝑝𝑖. Quali temi ho toccato, e perché è così importante parlare di Adattabilità, ai giorni nostri?

Nella slide di introduzione (che io chiamo Slide Banale…ma non troppo) ho parlato del mondo del lavoro, che ha subito cambiamenti molto forti negli ultimi due anni. Parole come “Covid”, “Smart Working” e “Dimissioni” hanno assunto nuova importanza. Il loro significato non è cambiato, ma il contesto in cui sono espresse è mutato, affiancando a questi temi il carattere di urgenza, incertezza e, in molti casi, mancanza di preparazione. Questa mancanza si è espressa a tutti i livelli, sia organizzativo, sia di gruppo, sia individuale.

Da qui l’importanza di sapersi adattare. Anche perché l’adattabilità è un’importante predittore di performance, soddisfazione lavorativa e di coinvolgimento nel proprio lavoro!

Ma cos’è l’adattabilità, esattamente? Ho usato questa definizione: capacità reattiva o proattiva di cambiamento che include sia la competenza sia la motivazione necessaria a realizzarlo. Ho anche spiegato nel dettaglio cosa ognuna di queste parole significhi, e le implicazioni sia per gli individui, sia per le aziende.

A mio avviso, però, l’aspetto più interessante dell’adattabilità non è la sua definizione, ma quali sono i comportamenti specifici dei dipendenti, che le aziende reali percepiscono come adattabili. Il nostro lavoro su Jemma Adaptability Index è nato dopotutto da un bisogno reale ed espresso dalle aziende: la necessità di comprendere quali strumenti usare per assicurarsi di assumere persone adattabili e flessibili, e che si sarebbero, in sostanza, trovati bene a lavorare in quella specifica organizzazione. Una delle risposte, secondo noi, è Jemma.

Ma cosa rende un lavoratore adattabile agli occhi delle aziende?​

Durante la mia presentazione ho presentato alcuni risultati delle interviste che abbiamo condotto a decine e decine di aziende, dalle multinazionali alle PMI.

Sorpresa sorpresa, ogni persona intervistata ci ha parlato di adattabilità in modo sostanzialmente differente e specifico, e ha raccontato di diversi esempi di persone che si sono dimostrate più o meno adattabili.

È comunque possibile identificare alcune caratteristiche comuni: la persona adattabile è tipicamente un giovane laureato, che mostra disponibilità e proattività. Questa persona dimostra inoltre freddezza, lucidità e focus sugli obiettivi organizzativi.

Le aziende hanno anche aggiunto che il cambiamento più difficile per le persone è stato relativo al ruolo lavorativo. Le persone poco adattabili, davanti a questo tipo di cambiamento, hanno mostrato comportamenti di rigidità e chiusura, e si sono rivelate poco propense ad apprendere.

Detto questo, è bene specificare che l’adattabilità non è una capacità che si genera e manifesta nel vuoto; può essere infatti facilitata e coltivata dalle aziende, proprio come altre competenze. In questo senso, ho spiegato come alcuni fattori, ad esempio la percezione, da parte dei lavoratori, di essere supportati o di avere sufficiente autonomia nel proprio lavoro, possono aiutare le persone a manifestare comportamenti di adattamento.

Unveil Consulting s.r.l.

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Sbagliare sul lavoro: come interpretare gli errori di un candidato

Sbagliare sul lavoro: come interpretare gli errori di un candidato

Sbagliare sul lavoro è una esperienza universale, e una grande occasione per imparare. Questo vale non solo per il dipendente che ha commesso l’errore, ma anche per l’azienda stessa che, attraverso il monitoraggio e l’analisi degli errori, può migliorare i propri processi.

Infatti, bisogna sempre ricordare che, in termini di gestione aziendale, l’obiettivo del management deve sempre essere quello di minimizzare la probabilità che gli errori accadano.

Tuttavia, è anche vero che uno degli aspetti più preziosi per una organizzazione, forse quello più importante, è la capacità delle persone di apprendere e crescere, a partire dai propri errori.

Sembra un controsenso, ma è così: le aziende devono creare processi e strutture che minimizzino gli errori, ma allo stesso tempo incentivare una cultura aziendale che sia aperta e comprensiva all’errore, nella quale le persone siano a proprio agio, senza paura di incorrere in punizioni. A sua volta, questo favorirà la creazione di un ambiente più disteso, migliore rapporto con i colleghi, un ambiente creativo e meno stress in generale.

Ma la capacità di migliorare a partire dai propri errori non è solo favorita dalla cultura aziendale; è anche una specifica caratteristica individuale, ed è bene che venga esplorata in fase di colloquio di assunzione.

Sia chiaro, gli errori di cui parliamo in questo articolo sono principalmente quelli che non portano a rischi per la salute altrui; è bene infatti differenziare gli errori in nell’ambito della sicurezza sul lavoro da quelli che non hanno conseguenze gravi per le persone, e che al massimo determinano la moderata perdita di tempo e risorse.

Vediamo come i passati errori di un candidato possano aiutarci a conoscerlo meglio in fase di colloquio, ad esempio chiedendogli di raccontarci un episodio in cui ha commesso un errore.

Siamo tutti S.T.A.R.

Se durante un colloquio di lavoro chiederemo candidato di raccontare di una situazione in cui, in un lavoro passato, abbia commesso un errore, dobbiamo fare attenzione ad alcuni aspetti chiave della sua risposta.

Canonicamente, per la valutazione di domande di tipo comportamentale, viene posta attenzione a quattro punti fondamentali, identificati con l’acronimo S.T.A.R.:

  • Situation: La descrizione della situazione in cui l’errore è avvenuto.
  • Task: Qual era l’obiettivo che si sarebbe dovuto raggiungere?
  • Action: Quale è stato l’errore e quali azioni sono state intraprese per rimediare?
  • Result: Come si è rimediato all’errore nell’immediato, e quali provvedimenti sono stati presi per evitare che accada?

Tuttavia, questi quattro punti da soli non esauriscono le opportunità di conoscere meglio la persona che si ha davanti. È importante anche saper leggere come la persona reagisce alla domanda, il suo tempo di risposta, il tono della voce, la proprietà di linguaggio e narrazione, il carisma, etc.

Ma quali altre preziose informazioni possiamo cogliere dalla risposta del candidato?

La selezione perfetta non esiste, si crea

Tra le righe

Il quadro completo della risposta del candidato, se lo sappiamo leggere, ci potrà dare una buona idea della sua capacità di apprendere, ed anche della sua adattabilità. La gestione dell’errore è infatti un’importante cartina tornasole per la capacità della persona di adattarsi ai cambiamenti.

Infatti, i periodi di cambiamento (per l’organizzazione o la persona) sono molto delicati, perché cambiare comportamenti ed abitudini comporta l’inevitabile aumento di probabilità che si verifichino errori. E persone non adattabili potrebbero non apprendere da questi.

Pensiamo ad un nuovo assunto che non sa come trasferire la telefonata di un cliente importante, e interrompe la chiamata, o al commerciale da poco in Smart Working che non registra correttamente le informazioni sul nuovo CRM o ancora al programmatore che invia in produzione una stringa di codice errata perché nella azienda precedente fare domande era percepito come un sintomo di incompetenza.

Tutti questi errori devono essere riconosciuti dalle persone che li commettono, che devono essere in grado di prendere le misure necessarie a far sì che non ricapitino. E la capacità di adattamento è un aspetto fondamentale di questo processo.

Saperla cogliere in fase di colloquio, nello specifico ponendo domande relative agli errori, è un potente strumento a disposizione del selezionatore.

Unveil Consulting s.r.l.

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Quello che i cv (e i colloqui) non dicono

Quello che i cv (e i colloqui) non dicono

Il processo di reclutamento, al giorno d’oggi, prende sempre di più la forma di una catena di montaggio, sin dai primi click della persona interessata alla posizione. Questo è vero sia per grandi aziende, multinazionali, sia per determinate posizioni, come ad esempio nel retail.


I dati del candidato vengono infatti prima di tutto “dati in pasto” ad algoritmi che ne analizzano il curriculum, cercando le parole chiave che qualcuno ha determinato come fondamentali per descrivere il la persona ideale.


Dopodiché, il candidato viene sottoposto a uno o più colloqui, spesso standardizzati, nei quali si spera emergano aspetti importanti della persona, come alcune soft skills, e, ancora più importante, il reclutatore possa farsi una idea “generale” della persona che ha davanti.


La strutturazione e standardizzazione del processo di selezione tipico delle grandi aziende non rappresentano ovviamente un male: chi si occupa di qualità sa bene che qualsiasi processo deve essere costruito secondo una struttura solida e ripetibile, inoltre i meccanismi che selezionano i talenti sono fondamentali per qualsiasi grande organizzazione che voglia mantenersi tale, ed è fondamentale che il risultato sia sempre soddisfacente, pena perdita di enorme quantità di tempo e risorse.

"Cambia il vento ma noi no"

Come per tutti i processi, tuttavia, il problema che può emergere riguarda l’adesione “alla cieca” di processi che hanno fatto il proprio tempo, o che non si sono adattati ai frequenti cambiamenti del mondo del lavoro e dei mercati in cui le aziende operano.

Cosa succede, infatti, quando i gli strumenti che le aziende (o i candidati) utilizzano non permettono alle aziende di individuare caratteristiche rese fondamentali dall’accelerazione dei cambiamenti politici, economici, sociali?

Queste caratteristiche possono infatti non venire “a galla” durante il processo di selezione, lasciando scoprire al responsabile della persona, mesi dopo, se effettivamente il candidato è ideale oppure no.

Ma quali possono essere queste caratteristiche?

"Siamo così, è difficile spiegare"

I selezionatori più attenti sanno che, ad esempio, il “fit” tra cultura aziendale e candidato è estremamente importante. L’azienda predilige la tradizione? L’innovazione? La diversità di opinioni? È burocratica o fluida? Incoraggia il lavoro da casa o favorisce la presenza in ufficio? Ritenere queste domandi importanti significa anche saper quali domande porre al candidato, e come leggerne le risposte.

Un altro esempio, come immaginate, dato il sito web su cui ci troviamo, è l‘adattabilità.

Sapere in anticipo se e quanto il candidato si adatterà ai cambiamenti è una informazione preziosa, anche per realtà resistenti al cambiamento, o che tendono a muoversi piuttosto lentamente. Quando abbiamo parlato con aziende grandi e piccole per la costruzione di Jemma Adaptability Index, infatti, uno dei fattori di cambiamento più critici per le persone è stato il cambio di ruolo, un tipo di stravolgimento che avviene in modo relativamente frequente in qualsiasi tipo di organizzazione.

L’adattabilità è una caratteristica che non si può evincere in modo semplice da un curriculum, e che solo un selezionatore esperto può tentare di esplorare tramite colloquio.

Lasciando perdere il fenomeno di “desiderabilità sociale” che caratterizza tutti i candidati in fase di colloquio (nessuno si metterà mai volontariamente in cattiva luce), sapere quali domande porre e determinare l’adattabilità di una persona richiede molta esperienza, senza contare il fattore tempo: i colloqui devono essere concisi ma esaustivi, e spesso il tempo viene dedicato a conoscere aspetti ritenuti più fondamentali, come le capacità di comunicazione e lavoro di squadra, oppure esempi concreti di obiettivi raggiunti in esperienze passate.

Perché quindi non lasciare la valutazione dell’adattabilità a strumenti creati appositamente, in cui l’interpretazione non lascia spazio a dubbi, e che possano informare al meglio il selezionatore prima di effettuare il colloquio?

La lista delle motivazioni per non provare Jemma Adaptability Index si assottiglia, anche perché è possibile provarlo gratuitamente ed immediatamente!

Unveil Consulting s.r.l.

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Scopri ora il tuo indice di adattabilità

Scopri ora il tuo Jemma Index

La compatibilità al contesto aziendale è una qualità sempre più preziosa. Ma come viene valutata nei moderni percorsi di selezione? Quanto spesso le organizzazioni si chiedono se sono pronte ad affrontare il cambiamento, ma senza considerare, ad esempio, aspetti come la flessibilità dei manager, la proattività dei commerciali, la capacità di lavorare in gruppo delle figure tecniche?

Jemma nasce come strumento per aiutare le imprese a misurare veramente la compatibilità dei candidati e del personale interno, anche in funzione dello specifico contesto aziendale. Uno degli aspetti fondamentali per la valutazione della compatiblità tra persona ed azienda è il grado di adattabilità della persona. 

E da oggi puoi provare la versione Demo di Jemma Index, che ti restituirà immediatamente un report personalizzato!

Quanto sei adattabile al lavoro? Sei una persona proattiva o reattiva? Scoprilo accedendo alla Demo!

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Il Big Quit

Il Big Quit

Caratterizzato da una sufficiente trasversalità, le “Grandi dimissioni” (Big Quit, o Great Resignation) sembrano essere un fenomeno degli ultimi tempi ampiamente degno di nota, che coinvolge l’Italia e nel resto del mondo, ed è comune tra maschi e femmine, Junior e Senior. Un significativo aumento delle dimissioni da lavoro a tempo indeterminato è stato registrato nel secondo trimestre del 2021, tra aprile e giugno: 484 mila dimissioni presentate dai dipendenti alle proprie organizzazioni (+ 85 per cento rispetto al secondo trimestre del 2020).

La correlazione tra “Big quit” e il periodo di pandemia, però, non è ancora del tutto chiara. Nicolò Giangrande, economista e fondatore della Fondazione Giuseppe Di Vittorio, afferma che “Il fenomeno va monitorato nei prossimi mesi e approfondito in tutte le sue dimensioni. Siamo in un contesto che non può essere ancora definito post-pandemico e le dimissioni possono essere state determinate dai motivi più diversi: ad esempio, possono essere state decise tempo fa e rimandate a causa dell’incertezza generata dalla pandemia, oppure possono essere state una forzatura da parte delle imprese che non potevano licenziare o, anche, incentivate in vista di una propria riorganizzazione”.

Dal report 2021 di IBM (Institute for Business Value), emergono le principali motivazioni che hanno spinto i dipendenti ad allargare i propri orizzonti, e ad optare per una posizione lavorativa differente. I 14 mila lavoratori di tutto il mondo intervistati, sottolineano la necessità di una maggiore flessibilità al lavoro come motivazione primaria (32%), seguita dalla voglia di avere un incarico più soddisfacente, e che includa la messa in pratica e lo sviluppo delle proprie competenze (27%). In particolare, dai dati emerge che:

  • 1 dipendente su 5 ha cambiato volontariamente lavoro nel 2020. Generazione Z (33%) e Millennial (25%) rappresentano le fasce di età che più si sono messe in gioco.
  • Il 28% dei dipendenti intervistati ha dichiarato di voler cambiare lavoro quest’anno.

Equilibrio tra sfera personale e lavorativa, e avanzamento di carriera, sembrano quindi essere le principali ragioni del fenomeno, mosse da bisogni primari di soddisfazione e benessere personale. Le ragioni di tali necessità sono emerse, e sono state valorizzate, proprio nel periodo pandemico, ponendo i lavoratori in una condizione non abituale, diversa dalla routine lavorativa tipica, come nel caso dello Smart Working.

L’acquisizione di un certo grado di autonomia, per quanto riguarda tempistiche e modalità del lavoro, ha favorito l’acquisizione di una nuova consapevolezza per i lavoratori: non sono disposti a rinunciare alla libertà, in termini di strutturazione della giornata, e di riorganizzazione delle priorità, lavorative e non.

Il desiderio è reale, è concreto, ed emerge nei tentativi di trovare risposta. Tra le domande più frequentemente rivolte a Google, infatti, troviamo: “Come cambiare lavoro e vita?”, “Come cambiare lavoro in tarda età?”

Il settore sanitario, in particolare, ha risentito molto della pandemia, a livello di stress lavoro correlato e burn-out, ed è infatti l’ambito nel quale si evidenzia maggiormente il fenomeno delle Grandi dimissioni. Gli operatori sanitari sono stati fortemente esposti alla situazione di emergenza sanitaria, ed hanno espresso grande sofferenza psicologica nei loro racconti, caratterizzati da una costante invisibile: la paura. Il 44% degli operatori in ambito sanitario, infatti, ha espresso la volontà e la necessità di cambiare lavoro.

Diversa è la situazione per i lavoratori Junior, Millenials (26-41 anni) e generazione Z (under 25). I nuovi arrivati, infatti, sembrano seguire una filosofia lavorativa improntata sul concetto di “Si vive una volta sola”. Fuorviante e riduttivo sarebbe considerare questa impostazione come “semplicistica”, caratterizzata da maggior leggerezza e assenza di forza di volontà. Al contrario, si tratta della possibilità di credere nel domani, di pensare e progettare il proprio futuro, di formarsi per un lavoro soddisfacente, senza escludere l’ipotesi di emigrare, se necessario. I giovani, in questo senso, affianco alla loro volontà di affermazione, sembrano possedere quella spensieratezza, buona e necessaria, che spesso i lavoratori Senior relegano nel cassetto con l’avanzare della carriera.

Dai lavori logoranti a quelli cosiddetti “smartabili”, dalle nuove alle vecchie generazioni, e per motivi personali e professionali, sempre più lavoratori fanno leva sulla crescente flessibilità e delocalizzazione del lavoro, optando per la più drastica scelta professionale possibile: licenziarsi.

La sfida, per le aziende, è quindi quella di anticipare le necessità dei lavoratori, dando priorità al loro benessere, ma anche fare in modo che le persone assunte siano sufficientemente adattabili a contesti mutevoli. Oggi più che mai, contenere la fuga di talenti risulta un obiettivo prioritario.

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Killer Questions: Killer per chi?

Killer Questions: Killer per chi?

In un mondo del lavoro sempre più digitalizzato ed informatizzato, il Web propone ogni giorno infinite possibilità a chi sta cercando una nuova occupazione.

Notiamo nuove realtà lavorative in ogni momento, mentre guardiamo le notizie o rispondiamo a una e-mail, e in alcuni casi…proprio mentre stiamo lavorando.

Dai Social Network come Linkedin, ai siti di recruitment come InfoJobs, Monster e Indeed, la ricerca del lavoro appare più dinamica e veloce rispetto al passato, e sempre meno basata su un’impostazione classica del tipo “porta a porta”, con curriculum cartaceo alla mano. Nel 2014, l’Istat evidenzia questo cambiamento: il 63,6% dei giovani tra i 15 e i 34 anni utilizza Internet per cercare lavoro.

Per far fronte alla grande quantità di autocandidature in entrata, le risorse umane ricorrono all’utilizzo di strumenti tecnologici in grado di velocizzare la verifica dei requisiti necessari che sembrano essere, nella maggior parte dei casi, “imprescindibili”. L’implementazione di una metodologia che filtra in modo automatico le candidature, prima di destinarle alle mani dei selezionatori, taglia fuori gran parte di coloro che vogliono proporsi per un nuovo lavoro, ma non possiedono in quel momento tutti i requisiti necessari.

Stiamo parlando delle cosiddette Killer Questions, ovvero domande strategiche e altamente specifiche, poste alla fine di una candidatura spontanea, che, in modo semplice e immediato, verificano se il candidato possiede le competenze tecniche richieste oppure indagano su informazioni più generali, come ad esempio “Sei disposto a trasferirti per lavoro?”.

Se da un lato l’utilizzo di questi strumenti facilita e velocizza il lavoro di scrematura dei Curriculum da parte degli addetti delle risorse umane, dall’altro ricordiamo che le Hard Skills possono essere insegnate (e acquisite) investendo il tempo necessario, e che non rappresentano l’intera gamma di competenze che il candidato possiede.

Le Soft Skills, infatti, considerate parte fondamentale del lavoratore, rispecchiano il back-ground socio culturale della persona, e sono la somma di tendenze comportamentali ed esperienze di vita, lavorativa e non.

Pensiamo a un candidato che nel momento della candidatura manca della competenza “linguaggio JavaScript”, ma che è tendenzialmente predisposto al raggiungimento di obiettivi, possiede senso di autoefficacia e ha fiducia in sé. Se adeguatamente formato, raggiungerà il livello di coloro che già in partenza possiedono la competenza, ma che non necessariamente possiedono la determinazione del nostro candidato.

In un’ottica di valorizzazione del lavoratore in ogni sua sfaccettatura, l’applicazione di “domande killer” a competenze meno tecniche e più umane, come nel caso delle Soft Skills, risulta limitante.

Ad esempio, saper comunicare efficacemente, essere in grado di tenere testa allo stress o saper lavorare in gruppo sono capacità relazionali e comportamentali difficilmente valutabili tramite un’unica e schietta domanda, e, per via della loro natura complessa, necessitano di un ottimo valutatore.

Le Soft Skills rappresentano un fattore cruciale di differenziazione tra i lavoratori, e possono favorire o ostacolare il successo del singolo, ma anche dell’azienda. Uno studio del 2018 (World Economic Forum’s Future of Jobs Report) sottolinea l’importanza di queste competenze trasversali, e, allo stesso modo, la difficoltà di individuarle durante la fase di assunzione. L’effettiva presenza di Soft Skills, è verificabile principalmente sul campo, o tramite strumenti realizzati ad hoc, come ad esempio il nostro Jemma Adaptability Index.

L’utilizzo di domande Killer volte all’esclusione dei candidati “non competenti”, porta con sé il rischio di minimizzare e sottovalutare il lavoratore nella sua totalità. In questo senso, tali domande potrebbero risultare “killer” più per l’organizzazione, che rischia in questo modo di perdere talenti, che per il candidato.

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Soft skills e selezione del personale: perché l’MI6 non assumerebbe mai James Bond

Soft skills e selezione del personale: perché l’MI6 non assumerebbe mai James Bond

In una intervista, il capo dell’MI6 Alex Younger ha dichiarato che, se mai James Bond si presentasse alla porta della intelligence militare britannica, non verrebbe mai assunto. E non si tratta solo di una questione di stile di vita e di consumo smodato di alcolici.

Intelligence emotiva

Per essere accettati dall’MI6, ha proseguito Younger, bisogna dimostrare soprattutto di essere all’altezza del complesso ambiente in cui si opera e delle decisioni che è necessario prendere. Le sfide che gli agenti devono superare, infatti, non sono solo fisiche, ma anche etiche. La personalità di James Bond è fatta sì di inventiva e determinazione, ma non brilla di certo per l’adesione alle regole e convenzioni morali. Basti pensare quanto 007 non ci pensi due volte ad esercitare l’uso della sua licenza di uccidere, o a violare le leggi locali ed internazionali, per raggiungere il proprio obiettivo.

Un altro aspetto fortemente importante per l’intelligence britannica è la cosiddetta intelligenza emotiva, spesso definita come la capacità di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole le emozioni proprie e degli altri. Sicuramente non il lato forte di James, che un personaggio che difficilmente si lascia abbandonare alle emozioni e che in alcune interpretazioni rasenta perfino la sociopatia.

Infine, un’ultima skill nominata dal capo dell’MI6 è la capacità di lavorare in squadra, un aspetto che 007 non considera durante le sue avventure da eroe solitario.

MI6 piaciuto, quando puoi iniziare?

L’attenzione a quelle che oggi definiamo “soft skills” è sempre stata importante per tutte le organizzazioni, ma non sorprende che i primi veri strumenti per misurarle siano nati presso quelle organizzazioni che per definizione non possono e non devono fallire, e tra queste troviamo le strutture della Difesa di tutti i paesi. Non a caso, i primi questionari di reclutamento sono stati sviluppati dall’esercito americano 100 anni fa. 

All’epoca i test, chiamati Alpha e Beta, esploravano l’intelligenza dei cadetti, per poi determinare il loro potenziale come generali, ufficiali o soldati.  Sebbene la metodologia sia ad oggi superata, il fu un grande passo in avanti che vide, per la prima volta, l’utilizzo di uno strumento scientifico per il reclutamento, utile alla presa di decisioni strategiche in merito all’assegnazione e all’organizzazione del personale.

Con il passare del tempo e della evoluzione della cultura manageriale, le soft skills hanno raggiunto l’importanza che meritano nell’ambito della ricerca e selezione del personale. Abbandonato il concetto troppo ampio ed impreciso di intelligenza, oggi si fanno strada strumenti e tecniche per valutare le skills legate al cambiamento digitale, ma anche la capacità di imparare ad apprendere, gestire le responsabilità in autonomia e saper esprimere creatività ed innovazione.

Così come James Bond non potrebbe mai fare parte dell’MI6, è quindi probabile che una figura altamente specializzata, ad esempio un ingegnere o un programmatore, sia scartato in fase di selezione anche dimostrando altissime qualifiche tecniche perché non compatibile con la cultura aziendale, o non abbastanza capace di relazionarsi con i futuri colleghi.

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Il Lato Nascosto dell’Employer Branding

Il Lato Nascosto dell’Employer Branding

L’Employer Branding è quell’insieme di attributi e qualità, spesso intangibili, che definisce l’identità dell’organizzazione come luogo di lavoro, evidenziandone le caratteristiche distintive rispetto ad altre aziende.

Esso è considerato ormai il prerequisito fondamentale di ogni strategia di recruiting che si rispetti: secondo LinkedIn il 75% dei potenziali candidati effettua ricerche sulla reputazione dell’azienda prima di presentarsi per una posizione, e quasi il 70% dei candidati non accetterebbe un’offerta da un datore di lavoro con una cattiva reputazione.

Tuttavia, non tutti sanno che anche il processo di selezione può influire sull’employer branding di un’azienda.

Infatti, seppur il processo di selezione varia per ogni azienda, tutti devono garantire al candidato un processo equo, ovvero obiettivo, coerente e non discriminatorio. Utilizzare strumenti come test e questionari è un ottimo metodo per farlo. Ne esistono numerosissimi che valutano qualunque tipo di caratterista del candidato ed è uno strumento utilissimo per l’azienda, che potrà valutare in maniera oggettiva che il candidato soddisfi i requisiti necessari. Inoltre, è altrettanto utile per i candidati, che attraverso il risultato del test potranno conoscere meglio se stessi e, se vogliono, adoperarsi per migliorare le aree in cui presentano carenze.

Offrire questa possibilità di crescita al candidato influirà profondamente sulla sua esperienza con il tuo processo di selezione, un momento/fase sempre più importante per un’azienda. Infatti, il modo in cui i candidati si sentono riguardo alla tua organizzazione mentre attraversano le varie fasi del tuo processo di assunzione, non deve essere assolutamente sottovalutata, anzi è da considerarsi essenziale!

Esso influisce moltissimo sul tuo employer branding perché l’ascesa delle piattaforme digitali ha reso le recensioni e le valutazioni di candidati e dipendenti più ampiamente conosciute e più affidabili man mano che andiamo avanti nel 2021. Un’esperienza più impattante del candidato contribuisce enormemente a una migliore reputazione per la tua organizzazione. Inoltre, i candidati considerano l’esperienza positiva come prova di processi aziendali più consolidati e della conseguente affidabilità di un’azienda. Questo aiuterà i reclutatori ad attrarre i migliori talenti e renderà i candidati più incline ad accettare un ruolo nella tua azienda.

Questionari e test: come creare un’esperienza positiva?

Per riuscire a creare una esperienza positiva, è utile che al candidato venga restituito il risultato del questionario, anche se il candidato non sarà selezionato.

Infatti, un aspetto interessante che le organizzazioni spesso trascurano è il potere dei candidati rifiutati. Per ogni candidato che hai selezionato, ce ne sono probabilmente dozzine che hai rifiutato. Paradossalmente, i candidati che non hai selezionato influenzano la qualità delle persone che assumerai oggi e in seguito. Molti di questi candidati condivideranno la loro esperienza online e offriranno recensioni e valutazioni sul tuo processo di assunzione. Se hai fornito una comunicazione tempestiva, ringraziato per il loro tempo, aggiornato i candidati con il loro stato di assunzione e generalmente li hai fatti sentire apprezzati e importanti, i candidati respinti se ne andranno con un’opinione favorevole sulla tua organizzazione e sul tuo processo di assunzione.

Inoltre, sapere il motivo per cui non hanno ottenuto il lavoro li aiuterà a migliorare la volta successiva e anche a mantenere la loro autostima, sapendo che non hanno avuto successo perché un candidato più adatto ha avuto quel posto, piuttosto che non sentire nulla e presumere che fosse perché la loro domanda era così negativa da non giustificare una risposta. In questi casi, la tempestività è importante e non bisognerebbe lasciar passare giorni (o settimane) senza fornire un feedback al tuo candidato.

Quindi, che aspetti? Introduci strumenti affidabili nel tuo processo di selezione!

Ne esistono tantissimi che valutano le abilità del candidato. Jemma Adaptability Index assicura che i vostri candidati soddisfino quello che è il requisito più difficile da valutare in un processo di selezione: l’adattabilità del candidato alla azienda.

In sintesi, non sottovalutare l’esperienza dei candidati durante il processo di selezione perché ne va della reputazione della tua azienda. Grazie a Jemma Adaptability Index puoi contare su un’esperienza non solo positiva ma anche unica, poiché offre ai tuoi candidati la possibilità di conoscersi e migliorarsi!

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3 errori da non fare quando assumi

3 errori da non fare quando assumi

Assumere nuovi talenti può essere complicato ed estenuante. Mentre conduci i colloqui e valuti i meriti di ciascun candidato, i candidati valutano anche te e la tua azienda.

Il processo di assunzione è più complesso della scelta della persona giusta per il lavoro; attira e assicura i migliori candidati, i cui valori sono in linea con la missione e i principi della tua azienda.

È importante per le aziende di tutte le dimensioni implementare una strategia di assunzione efficace, la mancanza di essa comporta infatti numerosi errori tra cui fidarsi della prima impressione, limitare il pool di ricerca, mancanza di trasparenza e moltissimi altri.

Tra tutti questi noi vorremmo enfatizzarne tre

1) Non avere un modo o piano di valutare l’adattabilità del candidato al contesto aziendale

Non valutare l’adattabilità del candidato significa assumere qualcuno che potrebbe non adattarsi alla cultura aziendale, ovvero con le convinzioni, comportamenti e valori tua organizzazione. Questo, come abbiamo già visto in precedenti articoli, potrebbe portare a conseguenza molto spiacevoli.

Ma come valutarla quindi? Molti recruiter fanno qualche domanda durante la fase di colloquio, ma questo non è sufficiente a valutare la capacità di adattamento del candidato. È infatti essenziale utilizzare uno strumento che possa valutare l’adattabilità di ciascun candidato allo specifico contesto aziendale.

2) Usare strumenti specifici (questionari etc) senza sapere come leggere i dati

Alcune volte si pensa che basti avere uno strumento per sapere come funziona, come se leggere un grafico fosse una cosa intuitiva. Assolutamente no! Ogni test è stato testate e ritestato su dei campioni e per ogni variabile vi sono dei valori molto specifici da prendere in considerazione. La statistica è uno strumento delicato, e utilizzare un test senza sapere come leggerne i dati diminuisce, se non addirittura elide, l’efficacia del test. Un’azienda si ritroverebbe cosi non solo ad avere speso parecchi soldi per l’acquisto del test, ma ad aver anche assunto la persona sbagliata.

3) Non restituire i report ai partecipanti in fase di colloquio

La restituzione del report è essenziale per il candidato per 2 principali motivi: perché il soggetto ne ha diritto, e perché può essergli utile per orientare le proprie scelte e i propri comportamenti. Inoltre, la restituzione faccia a faccia dei risultati di un questionario può essere un ottimo primo passo per conoscere al meglio un candidato,

La restituzione stimola, facilita ed implementa lo sviluppo personale e professionale. Le persone conoscono più di prima e meglio di prima alcuni aspetti di sé, dei propri limiti e delle proprie risorse. Inoltre, sostiene il processo di empowerment e consente di assumere comportamenti più adeguati alla costruzione di un personale progetto di benessere. Il confronto tra i risultati delle prove e la propria auto-percezione costituisce quindi una preziosa opportunità per il soggetto: un momento più o meno frustrante, più o meno gratificante, ma comunque utile se gestito con intelligenza. Non restituirgli il report priverebbe il candidato di una possibilità di crescita e lo lascerebbe nell’incertezza.

 

In sintesi, è essenziale valutare l’adattabilità di un candidato e per farlo è necessario utilizzare strumenti adeguati di cui bisogna essere in grado di leggere i dati. Come fare ciò? Affidati agli esperti di Jemma Adaptability Index, un test semplice da somministrare, con un report semplice da leggere, ideale per conoscere al meglio i candidati!

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La selezione è importante anche quando la ricerca è (sembra) senza costi

La selezione è importante anche quando la ricerca è (sembra) senza costi

Il fatto che oltre il 60% delle ricerche di personale si risolvano grazie al networking è ormai un dato assodato. Quando parliamo di networking non intendiamo la raccomandazione bensì la proficua attività di contattare persone presenti nel proprio network professionale per proporgli un’opportunità di lavoro presso la nostra Azienda oppure chiedendo a questi ultimi di segnalare qualcuno di loro conoscenza.

Il tutto a costo zero o comunque con il minimo sforzo.

Ma è davvero così? L’esperienza dei nostri clienti e candidati ci conferma che il networking è uno strumento potente per la fase di ricerca tuttavia questo non è affatto a costo zero.

Ma andiamo maggiormente nel dettaglio.

Se l’esigenza è quella di assumere una persona con un profilo specifico, magari operativo e per il quale non sono richieste particolari competenze tecniche o doti di responsabilità o ancora per necessità temporanee di personale poco specializzato, allora può essere un canale adeguato e sufficiente.

Quando però la selezione riguarda personale che deve possedere delle doti personali specifiche, delle competenze manageriali, di leadership o che comunque andrà a ricoprire (nel breve, ma anche nel medio lungo termine) dei ruoli strategici per livello o interazione, allora la segnalazione potrebbe non essere sufficiente.

Facciamo un esempio: se devo cercare un HR Manager e chiedo ad un amico HR Manager di segnalarmi una persona. Sicuramente questi mi indicherà delle persone che considera valide sotto il profilo professionale e per certi verso anche personale.

Tuttavia questo non basta: se la persona non è adatta al nostro aziendale anche il miglior professionista è destinato a fallire il proprio compito.

Il processo di selezione di una persona non termina nel momento in cui il candidato prende servizio, ma prosegue anche nei primi mesi di inserimento durante i quali l’Azienda investe sulla persona assunta per integrarla nel proprio contesto.

Tutto questo ha un costo in termini di tempo e risorse impiegate: maggiore è l’adattabilità fra neo assunto e contesto lavorativo minore sarà lo sforzo necessario per integrarlo. Ecco perché nessun processo di selezione può dirsi privo di costi.

Pertanto, se il networking rappresenta un buon canale per la parte di ricerca per quanto riguarda l’attività di selezione è importante che la scelta venga effettuata con il supporto di uno strumento di valutazione dell’adattabilità.

Valutare l’adattabilità di una persona al nostro contesto aziendale permette anche di minimizzare il rischio di fare delle valutazioni non basate su criteri oggettivi: se una persona di nostra fiducia ci segnala un candidato è possibile che il nostro giudizio ne venga influenzato.

Così come quando ci viene presentato un candidato che proviene da un’azienda verso la quale abbiamo un parere positivo rischiamo di non formulare su di lui una valutazione oggettiva.

La valutazione dell’adattabilità non si contrappone al networking, ma diviene parte di esso.

Jemma: future adaptability index è il primo strumento ideato per valutare l’adattabilità di una persona allo specifico contesto aziendale.

In che modo Jemma può supportare il networking? Sostanzialmente divenendo parte del processo decisionale, inserendosi nella fase successiva al primo incontro per andare a valutare se e in base a quali caratteristiche la persona sia adatta all’azienda.

Come lavora Jemma?

Jemma svolge un ruolo simile a quello di un selezionatore: per valutare l’adattabilità di una persona ad uno specifico contesto “chiede” alla prima quanto siano importanti aspetti quali la presenza di un clima di collaborazione e aiuto, l’autonomia nella scelta sulle modalità e tempi di lavoro e la facilità con cui circolano le informazioni.

Alle persone che rappresentano l’Azienda (titolare, membri dal management, diretto responsabile della persona da assumere) viene invece chiesto quanto siano secondo loro presenti gli aspetti sopra citati.

Il confronto fra percepito dell’azienda e aspettativa del candidato genera l’indice di adattabilità candidato/ contesto che ha come scopo quello di dare una fotografia della situazione: lo scopo può essere sia quello di escludere chi si rivelerà eccessivamente distante oppure capire se sia l’azienda a dovere modificare qualcosa per poter essere adatta ad accogliere una persona con quelle caratteristiche.

Jemma non si ferma qui: come ogni buon selezionatore non si limita ad analizzare la compatibilità candidato/ azienda, ma ad esplicitare se la persona ha un atteggiamento proattivo o reattivo di fronte ad un cambiamento, a quale livello (individuale, di gruppo o organizzativo) si manifesti meglio la sua adattabilità e quali caratteristiche individuali supportino la sua adattabilità fra apertura al cambiamento, autoefficacia e impiegabilità.

In conclusione, un’attività di networking ben indirizzata e l’utilizzo di uno strumento come Jemma possono rendere efficace un processo di selezione svolto in autonomia.

Oktopous s.r.l.