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Il processo di valutazione delle aree di miglioramento: il continuous improvement delle risorse umane

Il processo di valutazione delle aree di miglioramento: il continuous improvement delle risorse umane

In un processo di valutazione di una persona, sia che questo venga fatto nella fase di selezione, sia che sia invece parte di un momento di confronto interno, è molto importante porre l’attenzione sulle aree di miglioramento. Questa affermazione potrebbe sembrare ovvia, tuttavia, soprattutto quando la valutazione fatta è estremamente positiva il rischio è quello di non dare il giusto peso alle aree di miglioramento.

Le aree di miglioramento in un processo di selezione

Se consideriamo un processo di selezione, capire dove la persona ha delle mancanze mette il potenziale datore di lavoro nella condizione di offrire alla persona che si vuole assumere un ruolo e/o un percorso di crescita coerente con le aspettative.

Il massimo risultato si otterrebbe nel momento in cui il candidato abbia consapevolezza di quelle che potrebbero essere delle aree di miglioramento future.

Come si può indagare questo aspetto durante i colloqui di selezione?

Innanzitutto, preparando bene il terreno: leggere attentamente il curriculum, cercare informazioni sulle precedenti aziende e fare al momento opportuno e con le dovute autorizzazioni una verifica di referenze professionali.

Successivamente, durante l’incontro chiedere alla persona di fornire un proprio riscontro sulla propria prestazione lavorativa o su determinate situazioni e allo stesso tempo stimolare delle soluzioni alternative a quelle applicate.

Nel corso delle interviste è importante valutare anche le attitudini del candidato attraverso domande sulle sue motivazioni, la sua flessibilità e la sua capacità di adattarsi a situazioni cambianti.

Al termine del processo di selezione allegare all’offerta economica un piano d’azione condiviso con obiettivi e scadenze fissate sulla base di una valutazione oggettiva delle aree sulle quali lavorare.

Una volta che la persona è entrata a far parte dell’organico dell’azienda, è importante che la valutazione delle aree di miglioramento sia un processo regolare e continuo, in modo da permettere al dipendente di crescere costantemente e di raggiungere il massimo delle proprie potenzialità. Inoltre, è importante che la valutazione sia fatta in maniera equa e imparziale, e che sia basata su dati concreti e oggettivi.

Jemma Adaptability index - Il processo di valutazione delle aree di miglioramento il continuous improvement delle risorse umane

Il processo di miglioramento di un dipendente dell’azienda

Quanto detto all’inizio deve essere applicato anche ai dipendenti già in forza: inoltre è importante prevedere un follow up con i nuovi assunti dopo 6-12-18 mesi per comprendere se e come il piano d’azione si stia realizzando.

Per aiutare un dipendente a colmare dei gap nel suo profilo professionale si possono adottare strategie diverse.

Prima di tutto creare un’abitudine al feedback fra colleghi e non solo fra manager e collaboratore. Questo permette sia al diretto interessato si all’Azienda di avere punti di vista diversi e quindi di poter comprendere meglio dove e come effettivamente migliorare.

In secondo luogo utilizzare uno strumento di valutazione sia in fase di selezione che di valutazione interna per valutare il percorso che la persona sta facendo in modo univoco e oggettivo.

Infine, analizzare i risultati portati e fornire continui feedback è l’elemento che permette di realizzare la crescita della persona all’interno del contesto.

In conclusione, volendo applicare la definizione di continuous improvement anche alle risorse umane la scelta di uno strumento di valutazione che “segua” il processo di miglioramento di una persona dalla sua assunzione e per tutta la permanenza in azienda è un passaggio indispensabile per strutturare un processo efficace e soddisfacente.

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Quanto costa il turnover?

Quanto costa il turnover?

 

Il fenomeno dell’aumento del turnover sta interessando ormai tutte le aziende. Negli ultimi 24 mesi, infatti, abbiamo potuto osservare e rilevare come molte aziende che non erano state caratterizzate da significative modifiche nell’organico si siano trovate improvvisamente nella necessità di sostituire persone in uscita per dimissioni e a volte pensionamento.

Le motivazioni che hanno generato questa tendenza non sono legate solamente da aspetti economici, ma sempre di più alla possibilità di avere delle migliori condizioni lavorative che si concretizzano in maggiore flessibilità, una cultura aziendale positiva e inclusiva e uno stile gestionale più collaborativo che direttivo.

Al di là delle motivazioni quello che abbiamo rilevato è come molte azienda non abbiano da subito valutato gli impatti – che sono dei veri e propri costi chiari e occulti – di un incremento del turnover.

Quanto costa il turnover - Jemma Adaptability Index

I costi del turnover

In primo luogo, abbiamo i costi di selezione e formazione: il processo di selezione è oneroso in termini di tempo e risorse economiche e ad esso va aggiunto il costo per la formazione dei neoassunti che avranno bisogno di tempo per potersi integrare e imparare le mansioni da svolgere. A questo va aggiunto il dispendio di tempo delle persone già in forza che dovranno affiancare i neoassunti che saranno quindi chiamate a svolgere del lavoro aggiuntivo rospetto all’ordinario.

A questi vanno aggiunti i maggiori costi di gestione del personale: il tempo e le risorse spesi per gestire un alto turnover possono essere significativi, soprattutto se si considerano gli sforzi per individuare le cause dell’alto turnover e per prevenirlo.

Gli impatti su produttività e conoscenze

Secondariamente vi è la perdita di produttività: il periodo di adattamento di un nuovo dipendente può comportare una perdita di produttività, soprattutto se il lavoro richiede competenze specialistiche o una conoscenza specifica dell’azienda.

Inoltre, l’uscita di figure senior porta alla perdita di conoscenza e competenza: quando un dipendente lascia l’azienda, porta con sé le conoscenze e le competenze acquisite durante il suo tempo di lavoro. L’alto turnover può quindi comportare una perdita di conoscenze e competenze importanti per l’azienda.

Ambiente e qualità del lavoro

A livello ambientale i continui cambiamenti di persone a tutti i livelli può creare un danno molto elevato: internamente, infatti, crea un clima di incertezza e d dubbio sulla solidità dell’azienda mentre verso l’esterno viene lanciato un messaggio di ambiente non positivo e che non permette lo sviluppo delle persone.

Un alto turnover può portare alla diminuzione della qualità del lavoro: il continuo cambiamento di personale può compromettere la qualità del lavoro e l’efficienza dell’azienda.

Conclusione

Questo è quello che le aziende stanno affrontando più o meno consapevolmente: riuscire ad avere un’indicazione precisa sull’adattabilità di una persona al contesto aziendale permette di poter prevedere chi potrebbe lasciare l’azienda prematuramente e di poter quindi attivarsi per tempo per ridurre al minimo i costi del turnover.

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Reattivo vs Proattivo: quando una persona è pronta a fare un salto nella propria carriera professionale.

Reattivo vs Proattivo: quando una persona è pronta a fare un salto nella propria carriera professionale.

Oggi affrontiamo un tema che è il risultato di un confronto con un nostro candidato, Manager di un’azienda con il quale abbiamo parlato di adattabilità. 

Si parlava in particolare di quello che può essere l’atteggiamento di una persona nei confronti di un cambiamento e se rispecchiasse di più il concetto di adattabilità il fatto che la persona avesse un comportamento reattivo nei confronti del cambiamento, oppure un comportamento proattivo, quindi generando lei stessa un cambiamento. 

Prescindendo da quelle che potrebbero essere delle opinioni, questo argomento ci ha fatto ragionare su un aspetto molto importante: esiste un momento in cui una persona che svolge un ruolo operativo quindi senza il coordinamento o la responsabilità su altre persone, dimostra di essere pronta ad avere un avanzamento di carriera quindi ad avere una responsabilità superiore? 

La nostra opinione è stata la seguente: nel momento in cui una persona che ha da sempre avuto un comportamento reattivo nei confronti di un cambiamento senza aggiungere nulla alla mutata situazione, inizia ad avere un comportamento proattivo allora questa persona è pronta per essere quantomeno valutata per un avanzamento di carriera. 

Reattivo vs Proattivo quando una persona è pronta a fare un salto nella propria carriera professionale- Jemma Adaptability index

L’atteggiamento proattivo puoi esplicitarsi in modi diversi: può essere la proposta di una nuova soluzione ad un problema senza che questa gli venga richiesta, oppure può essere la definizione di nuove attività a fronte di input che vengono da lei stessa generati. 

Sarebbe quindi interessante organizzare un meccanismo di valutazione della performance che tenesse conto anche dell’atteggiamento nei confronti di un cambiamento se reattivo o proattivo per valutare il grado di prontezza di una persona nei confronti di un avanzamento di carriera che implichi un aumento della responsabilità. 

In quest’ ottica sarebbe opportuno che l’azienda stessa stimolasse questa attività creando non solo le condizioni ambientali per un confronto ma anche lasciando spazio alle persone per sperimentare qualcosa di diverso. 

Allo stesso modo sarebbe molto utile che le organizzazioni rendessero consapevoli le proprie persone di questo aspetto: se è vero infatti che passare da un comportamento o meglio da un atteggiamento reattivo ad uno proattivo è indice di maturità personale, ma anche professionale creare nelle persone questa consapevolezza sarebbe parte di un proficuo percorso di crescita.

Oktopous s.r.l.

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Cinque infallibili consigli per farsi notare da chi assume

Cinque infallibili consigli per farsi notare da chi assume

Il mondo della ricerca e selezione del personale nel corso del tempo ha subito e sta tuttora subendo delle importanti trasformazioni soprattutto per quanto riguarda gli strumenti che le Aziende e le Società di Selezione utilizzano per individuare i candidati idonei alle posizioni da ricoprire.

Negli anni ’80 e ’90 la selezione veniva fatta utilizzando annunci fatti sulla carta stampata: i candidati potevano pertanto inviare il proprio curriculum vitae cartaceo ad un indirizzo fisico; successivamente, con l’avvento dei siti di pubblicazione di annunci on line e con la diffusione dell’utilizzo di internet e delle posta elettronica gli annunci di lavoro sono stati trasferiti sulle piattaforme digitali e per candidarsi era quindi necessario inviare il proprio curriculum ad un indirizzo email. Oppure inserire il proprio curriculum all’interno del database del sito di pubblicazione di annunci affinché potesse essere reso visibile ai selezionatori.

Nel corso degli ultimi 10 anni hanno invece preso piede gli strumenti di social recruiting ovvero l’utilizzo dei social network anche per far incontrare la domanda e l’offerta di lavoro: questa è stata una vera rivoluzione in quanto i selezionatori possono effettuare delle ricerche direttamente sui profili presenti sui vari social network (linkedin in primis, ma non solo) pertanto senza avere a disposizione il curriculum completo del candidato.

Oggi si parla di nuove frontiere del recruiting immaginando e creando algoritmi sempre più complessi che dovrebbero permettere di accedere ad un quantitativo di dati tale da permettere ai recruiter di individuare tutte le informazioni relative ai candidati senza di fatto dover avere accesso ad alcun curriculum.

Appare quindi chiaro come questa evoluzione negli strumenti utilizzati abbia notevolmente modificato l’approccio: una volta le aziende palesavano le esigenze e le persone si candidavano, oggi sempre più spesso i selezionatori cercano i propri candidati senza aspettare di riceverne il curriculum. In quest’ottica pertanto non basta più avere un curriculum ben scritto, ma deve essere redatto in maniera tale da essere visibile a chi lo cerca. 

Pertanto, quando scriviamo il nostro curriculum vitae e lo inseriamo nel database di un portale per la ricerca di lavoro o di una società di selezione e quando creiamo i nostri profili social dedicati alla ricerca del lavoro dobbiamo cambiare punto di vista: non bisogna infatti porsi come obiettivo quello di raccontare la propria storia professionale, ma quello di scrivere le informazioni che l’azienda che mi interessa potrebbe cercare.

Quindi sarà importante:
1. Utilizzare dei termini che sono di uso comune: ad esempio se mi occupo di controllo di gestione o voglio fare il controller dovrò mettere in evidenza la parola controller (nella headline del mio profilo linkedin o nel curriculum).
2. Tenere presente che il job title che abbiamo nella nostra azienda potrebbe non essere così chiaro nel riassumere il nostro ruolo oppure potrebbe essere talmente particolare da risultare introvabile. E’ buona regola quindi inserire un job title comprensibile anche se leggermente diverso da quello che abbiamo sul biglietto da visita.
3. Se si sono conseguite delle certificazioni riconosciute in ambito linguistico (es. IELTS) o di altro tipo è bene inserirle nel profilo/ curriculum.
4. Considerare che non si sta scrivendo un tema o una lettera ad una persona: il nostro curriculum o profilo dovrà essere correttamente letto da un algoritmo che ragiona per parole chiave quindi bisogna inserire le parole giuste anche rischiando di essere meno precisi, ci sarà successivamente il tempo per poter integrare le informazioni durante un colloquio.
5. Inseriamo la città nella quale viviamo o nella quale vogliamo lavorare: se sono originario di Gorizia, ma vivo da 10 anni a Milano e voglio rimanerci scriverò sul curriculum e nel profilo Milano come città. Se scrivessi Gorizia per rispettare la residenza non risulterò mai nelle ricerche che hanno come keyword “Milano”.

Piccoli accorgimenti, ma di sicura efficacia!

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Il difficile ruolo del Responsabile HR di un’Azienda imprenditoriale

Il difficile ruolo del Responsabile HR di un’Azienda imprenditoriale

Nel corso della nostra storia abbiamo più volte supportato le realtà imprenditoriali nostre Clienti nella selezione della figura del Responsabile delle Risorse Umane. La nostra esperienza ci ha permesso di notare come ci sia stata nel corso degli ultimi anni in particolare una decisa evoluzione nella definizione del profilo: se fino a qualche anno fa la tendenza era quella di orientarsi verso persone provenienti da esperienze prevalenti presso multinazionali, oggi invece si tende a puntare su professionisti che abbiano già vissuto un contesto imprenditoriale.

Quello che abbiamo potuto rilevare raccogliendo i briefing da parte dei nostri interlocutori e che l’inserimento di professionisti anche di lunga esperienza maturata però unicamente in contesti molto strutturati e avanzati dal punto di vista delle politiche HR è stata una scelta spesso dettata dal possesso da parte di queste persone di metodologie certificate, essendosi formati in contesti considerati vere e proprie scuole in tal senso.

Specularmente, professionisti provenienti da multinazionali hanno colto queste opportunità con grande entusiasmo: l’ipotesi di avere un foglio bianco sul quale poter scrivere una nuova politica HR è stata spesso accolta con grande favore.

Questo connubio però non si è rivelato spesso vincente: in particolare, l’aver acquisito una metodologia così rigorosa ha reso molto difficile l’inserimento con successo di queste professionalità che si sono spesso scontrate con le peculiarità di contesti assolutamente non abituati all’esistenza di una funzione HR moderna e strutturata.

Quali sono le peculiarità di un’Azienda imprenditoriale che rende così complesso il ruolo del Responsabile HR?

  1. In primo luogo si tratta di realtà nelle quali sia il management ( che spesso è emanazione della Proprietà stessa) sia gli operativi sono abituati ad avere un contatto diretto con la direzione aziendale quindi hanno necessità di “ digerire” la presenza di un filtro;
  2. Le persone che popolano queste Società non conoscono tematiche legate a performance management, piani di formazione, employer branding, talent acquisition ecc. che sono invece all’ordine del giorno in contesti più evoluti. Pertanto, non è per loro così immediato riuscire a comprenderne l’ utilità.
  3. La mancanza di una struttura e a volte di un regolamento determina spesso una mancanza di disciplina da parte dei dipendenti: senza che questo sfoci in situazioni patologiche, può capitare che vi siano dei comportamenti e dei linguaggi più “ da bar” che da posto di lavoro che vengono tollerati, ma che non possono perdurare.
  4. L’oggettiva resistenza al cambiamento soprattutto delle figure storiche e più senior presenti in Azienda che spesso godono di grande credibilità e considerazione nei confronti dell’imprenditore che se non correttamente gestite possono essere un ostacolo a qualsiasi spinta innovatrice.

Accade invece  che molti candidati abbiano un approccio superficiale dando per scontate una serie di problematiche e non analizzando a fondo la situazione prima di intervenire: questo li fa apparire come persone aggressive con un atteggiamento quasi supponente forti delle esperienze fatte in precedenza. Oppure, al contrario, rischiano di non riuscire a legittimare il proprio ruolo.

L’aspettativa dell’imprenditore è quella di avere una persona che sappia darsi le giuste priorità, che abbia le sensibilità per capire l’entità del cambiamento che si sta portando e che condivida con il management i “benesseri” e i “malesseri” dell’organizzazione.

Flessibilità, pragmatismo, intelligenza e assertività sono le caratteristiche che non possono mancare a questa figura

I candidati che hanno avuto un inserimento felice sono stati infatti quelli che hanno di fatto accantonato temporaneamente quanto acquisito e con grande umiltà hanno prima analizzato il contesto e poi hanno iniziato a costruire policy e processi partendo dalla base e applicando nei tempi e nei modi giusti quanto appreso in precedenza.

Se quindi state cercando il vostro nuovo Responsabile HR oppure se siete un candidato ad una posizione di questo tipo, tenete presente questi aspetti dettati da chi prima di voi ha vissuto questa situazione in prima persona.

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La manutenzione del sistema: l’HR è una funzione di business, non di staff

La manutenzione del sistema: l’HR è una funzione di business, non di staff

Ci rivolgiamo oggi a quelle aziende che hanno già affrontato tempo addietro la necessità di impostare e strutturare dei processi HR efficaci e che quindi nel corso del tempo hanno beneficiato di questa attività.

In particolare hanno avuto dei processi di selezione ben organizzati, fornitori consolidati, meccanismi di valutazione delle competenze e del potenziale rodati ed efficaci e turnover ridotto in modo significativo. Che soddisfazione.

Nel corso degli ultimi anni tuttavia il mercato del lavoro si è modificato in modo sostanziale: sono scomparse molte professioni e sono invece nati nuovi ruoli caratterizzati da competenze tecniche e personali completamente diverse rispetto al passato.  In questo contesto non tutte le aziende hanno avuto la lungimiranza di “studiare” il nuovo mercato e di modificare i propri processi HR (intesi in senso molto ampio) e si stanno quindi sperimentando la perdita di efficacia di quanto precedentemente costruito.

La domanda che quindi alcune realtà si stanno ponendo è: “Perché i candidati scelgono altri contesti e/o i miei talenti mi vengono “rubati” dai miei competitor? Eppure facciamo la stessa cosa!”.

La risposta risiede molto spesso nella mancata attività di “manutenzione” dei processi HR che si riflette su un’attività di employer branding e comunicazione non più adeguata alla tipologia di profili di cui si necessita.

Attrarre un tecnico manutentore specializzato e molto diverso che attrarre un data scientst: allo stesso modo figure diverse valutano in modo diverso i meccanismi di incentivazione e i possibili percorsi di carriera.

Le parole chiave sono quindi tre: conoscenza, strategia, aggiornamento.

Conoscenza del core business della nostra Azienda: HR deve essere una funzione sempre coinvolta in occasione di sviluppi di nuove soluzioni per comprendere quali competenze tecniche serviranno per gestire le nuove applicazioni;

Strategia: avendo ben chiaro che cosa fa la nostra azienda potremo quindi fare dei confronti rispetto ai nostri competitor, capire quali canali di selezione utilizzare, come adattare i nostri meccanismi di sviluppo alle nuove professionalità

Aggiornamento: mantenersi costantemente aggiornati sul mercato, incontrare candidati, fare uno scouting continuo del mercato, confrontarsi con colleghi di settori diversi per declinare nuove metodologie.

L’HR è una funzione che supporta il business, non una funzione di staff. Quindi, deve essere costantemente in contatto con il business e con il mercato.

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