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Qual è il segreto per abbattere il turnover e trattenere i migliori talenti?

Qual è il segreto per abbattere il turnover e trattenere i migliori talenti?

In Italia nel 2021 i dipendenti dimessi volontariamente dal proprio posto di lavoro sono aumentati di circa il 14% rispetto all’anno precedente, un incremento che si registra anche tra i lavoratori qualificati.

Il costo di un alto turnover è talmente significativo che da anni si stanno sviluppando sistemi di intelligenza artificiale capaci di predire i fattori che più influenzano questa decisione, ed individuare i lavoratori più a rischio.

Questi strumenti non sono ovviamente alla portata di tutti, ma esistono molti ambiti su cui la direzione HR può lavorare per mitigare gli effetti di questo fenomeno. 

Ad esempio, le migliori pratiche per evitare un abbandono prematuro del dipendente comprendono azioni come:

  • investire e migliorare costantemente il processo di onboarding 
  • identificare un chiaro percorso di carriera
  • incoraggiare formazione
  • premiare le performance
  • facilitare un sempre migliore equilibrio tra lavoro e vita privata.

Tuttavia, è bene porre particolare accento su quello che è probabilmente il processo più critico nella acquisizione e retention dei talenti, ovvero il processo di selezione.

È infatti fondamentale selezionare persone non solo che siano flessibili e aperte al cambiamento, ma che si adattino al contesto specifico aziendale.

Non è detto, ad esempio, che una azienda fortemente innovativa e dalla ridotta gerarchia sia il “match” più adatto per tutti! Di fatto, alcune persone lavorano meglio e con meno stress in contesti in cui vi sono regole precise e un flusso di informazioni rigido e ben definito.

Altre persone, invece, si adattano bene a nuovi gruppi di lavoro, anche internazionali, ma tendono a presentare criticità quando viene modificata la loro routine lavorativa o particolari strumenti: pensiamo ad aggiornamenti al software che utilizzano più spesso, o all’introduzione di un diverso ambiente di lavoro, ad esempio dall’ufficio a casa propria.

Insomma, l’adattamento al contesto aziendale è tanto fondamentale quanto difficile da quantificare.

Per questo, abbiamo creato Jemma Adaptability Index, il test per misurare la capacità di adattamento delle persone allo specifico contesto organizzativo. È stato creato grazie all’aiuto di più di 50 aziende italiane una accurata ricerca della letteratura scientifica, condotta da Psicologi del Lavoro!

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Unveil Consulting s.r.l.

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Reclutamento e Selezione: 3 futuri trend da conoscere

Reclutamento e Selezione: 3 futuri trend da conoscere

Nel prossimo futuro, assisteremo al consolidarsi di alcune tendenze importanti, che già in questi anni stanno plasmando ed influenzando il modo in cui le organizzazioni approcciano il mercato del lavoro.

Ad emergere vincenti saranno quelle aziende che attrarranno talenti grazie non solamente ad una cultura organizzativa dinamica e orientata allo sviluppo, ma anche equipaggiata con le giuste capacità per interpretare l’ambiente che la circonda. La sfida dell’adattabilità non si vince quindi solamente sul piano individuale, ma anche sulla capacità organizzativa di prevedere e gestire il cambiamento.

Le tendenze che esamineremo sono alimentate principalmente da tre fattori: la crescente instabilità dei contesti socioeconomici, l’evoluzione delle tecnologie digitali e il ricambio generazionale.

Vediamo insieme quali saranno 3 punti di attenzione che rimarranno tali per i prossimi anni a venire.

La Green HR

Per Green HR intendiamo tutte quelle azioni, promosse dalle risorse umane, che facilitino azioni concrete nell’ambito della sostenibilità ambientale. Sempre più aziende, spinte dai mercati e dalle forze politiche, stanno scegliendo di effettuare interventi di greening, ad esempio riducendo il proprio impatto ambientale o partecipando attivamente a campagne per la salvaguardia ambientale. Per fare ciò, è importante attrarre le giuste persone, ovvero candidati che siano sensibili a questi temi, e con le giuste competenze. Per questo motivo, l’ambiente è spesso uno dei temi prominenti nelle campagne di Employer Branding. Tuttavia, c’è il rischio che questi sforzi vengano percepiti come greenwashing, ovvero la percezione da parte dei potenziali candidati che l’azienda simuli interesse per l’ambiente con tentativi poco efficaci (ad. Es regalando una borraccia di alluminio ad ogni dipendente) senza investire in processi ben più impattanti (ad es. l’inquinamento derivato da processi produttivi inefficienti). In breve, se non ci sarà coerenza tra comunicazione e politiche aziendali, i tentativi di attrarre talenti con la green HR potrebbero risultare controproducenti.

 Giovani e Gen Z

Sapere come i giovani interpretano e navigano il mondo del lavoro è fondamentale. Ed essere consapevoli che i giovani cerchino supporto e formazione, oltre che ad ambianti lavorativi che ne promuovano lo sviluppo personale e professionale, non basta più. Il contesto è cambiato negli ultimi anni; ad esempio, il mercato del lavoro si è evoluto, lasciando spazio alla cosiddetta gig economy, ovvero il lavoro indipendente o “a progetto”. Il fatto che sia in aumento tra i giovani significa che siano in aumento posizioni con autonomia, flessibilità e varietà nel proprio lavoro, ma anche diminuzione di stabilità di impiego e di salario. La chiave sarà quindi quella di offrire posizioni flessibili in termini di autonomia lavorativa e di varietà di mansioni, ma che garantiscano una stabilità che la gig economy non potrà mai garantire.

Un altro aspetto che favorirà l’inserimento dei giovani sarò l’attenzione alla Diversity ed Inclusion, ovvero politiche e culture aziendali che facilitino l’inclusione di categorie fragili di persone. Infine, occorrerà ripensare alle competenze di base, per tutti; se da una parte, infatti, non necessariamente i giovani conoscono la tecnologia meglio dei lavoratori più anziani (quanti di loro scrivono mail o apprendono ad utilizzare correttamente browsers e il famigerato pacchetto Office?), è anche vero che i lavoratori attuali dovranno imparare ad interiorizzare il modo di comunicare e gli strumenti dei più giovani. La vera sfida sarà cogliere il giusto bilanciamento tra la formazione dei giovani al lavoro in azienda e l’istruire il personale interno a lavorare con le nuove generazioni.

Management e competenze Digitali

Le competenze che occorrono per cogliere a pieno le potenzialità degli strumenti digitali saranno sempre di più fondamentali per le figure manageriali. Innovazioni come IA, algoritmi e automatizzazione influenzeranno ogni tipologia di ruolo. Ad esempio, l’HR potrà contare su algoritmi predittivi di performance, il marketing su metriche sempre più complesse, le vendite su strumenti di supporto al cliente sempre più sofisticati (come le chatbot) e canali sempre più diversificati, e così via.

La sfida sarà quella di attrarre figure con competenze critiche per percepire, catturare e riconfigurare il potenziale delle nuove tecnologie. Occorrerà focalizzare l’attenzione su skills come l’analisi dei trend, oppure la capacità di analizzare il potenziale di una specifica tecnologia per capire come trasferirlo nella propria organizzazione. Anche la capacità di adattabilità e di leadership saranno fondamentali, la prima perché comporta prontezza nel rispondere ad un ambiente sempre mutevole, la seconda per la sua importanza nella comunicazione delle nuove tecnologie ai collaboratori.

 

Il futuro è già qui, e come abbiamo visto le buone pratiche del reclutamento non possono prescindere da un atteggiamento proattivo che evidenzi ed accompagni questi 3 temi, che possiamo definire come evergreen e che caratterizzeranno il mondo del lavoro per anni a venire.

Unveil Consulting s.r.l.

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Balla che ti passa: l’importanza della Digital Reputation

Balla che ti passa: l’importanza della Digital Reputation

Recentemente è comparso in rete un video privato che ritrae la premier finlandese Sanna Marin ballando con amici. Questo “scandalo” ha attratto molte critiche, ma anche molti post di supporto ad una donna e figura politica che, a parer di chi scrive, non ha fatto niente di male.

Posto che il lavoro di un premier è quello di rappresentare un Paese, e qualsiasi azione o opinione porta con sé una responsabilità istituzionale, possiamo dire che questo episodio non abbia scalfito di molto la reputazione della premier, anche grazie all’immediata solidarietà sia dei cittadini finlandesi sia di personalità dello spettacolo e della politica.

Curiosamente la stessa cosa non può essere detta dei detrattori della premier che, indignati per il comportamento della Marin, hanno espresso la propria opinione online. In definitiva, i cosiddetti “haters” hanno pubblicamente peggiorato la propria reputazione online, mentre ciò non è accaduto alla premier.

Quando parliamo di Digital Reputation parliamo della immagine che ognuno di noi si costruisce in rete. E lo fanno tutti, che lo vogliamo o no.

Se lasciamo per un attimo da parte il personal branding e la creazione di contenuti finalizzata alla “vendita” della nostra professionalità, rimaniamo con tutti quei contenuti che occasionalmente pubblichiamo su Facebook, Instagram, Tik Tok, YouTube e LinkedIn, non necessariamente per attrarre “mercato”, ma per esprimere le nostre opinioni.

Molti credono erroneamente che in uno spazio virtuale sia possibile esprimere qualunque tipo di concetto, e a causa di questo, negli ultimi anni, sono sorti fenomeni sgradevoli come il trolling, il cyberbullismo, il flame online e la diffusione di fake news. A questo si aggiunge la diffusione di opinioni più o meno informate e dai toni non sempre pacati, che non riguardano solamente la vita privata di una figura politica, ma anche argomenti troppo complessi per essere ridotti ad un post “rumoroso”.

Anche escludendo comportamenti apertamente illegali, è importante considerare quello che pubblichiamo online, poiché tutti, dai datori di lavoro ai potenziali clienti, possono leggere i nostri contenuti e giungere a conclusioni in merito a chi siamo personalmente e professionalmente.

Il Curriculum che scriviamo tutti i giorni

Non è un mistero che le aziende possano raccogliere informazioni tramite l’utilizzo dei social sui propri dipendenti o su persone che si candidano ad una certa posizione lavorativa. È quindi fondamentale possedere una forte reputazione digitale, rilevante nel momento in cui si cerca un lavoro o per quanto riguarda l’immagine di un’azienda, collaterale anche ai suoi dipendenti.

È poco utile impegnarsi a scrivere un CV impeccabile se la nostra attività pubblica online ci presenta come sgrammaticati, incoerenti o violenti. Per evitare qualunque conseguenza a riguardo, è fondamentale mantenere un comportamento adattivo e proattivo all’interno dello spazio virtuale, in modo da riuscire a coltivare una reputazione digitale che possa essere a nostro vantaggio.

Con comportamento proattivo, intendiamo l’intervento atto a proteggere la nostra immagine digitale, ad esempio:

1) Rimuovere contenuti passati che potrebbero ledere la reputazione (digitale, personale e/o aziendale)

2) Evitare discussione e critiche online 

3) In caso si presenti l’evenienza, rispondere alle critiche, senza censurarle

4) Riflettere bene prima di postare qualunque tipo di materiale, cercando di anticipare quelle che potrebbero essere le criticità e le conseguenze future

5) Avere un controllo attivo sulle proprie pagine, evitando di condividere contenuti inappropriati

6) Verificare la veridicità di un contenuto prima di diffonderlo

7) Selezionare in maniera adeguata la cerchia dei propri contatti

I suggerimenti che abbiamo dato non sono preziosi solamente per chi cerca lavoro, ma anche per coloro che sono già impiegati o alla guida di aziende.

Post o commenti che ledono l’immagine aziendale o che trasmettono poca professionalità possono seriamente minare la posizione del lavoratore e costare parecchio, in termini sia di denaro sia di percezione del brand, alle aziende.

Unveil Consulting s.r.l.

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Perché l’Intelligenza Artificiale dovrebbe importare anche alle PMI?

Perché l’Intelligenza Artificiale dovrebbe importare anche alle PMI?

L’intelligenza artificiale è ormai uno strumento diffuso nel mondo del recruitment, e fa parte di un progressivo processo di automatizzazione ed ottimizzazione dei costi che prosegue ormai da diversi anni.

Un esempio è la tecnologia impiegata nelle attività di pre-screening, grazie a strumenti come i chatbot, ma anche dall’analisi automatizzata dei CV e dei profili presenti nei data base aziendali, che consistono nel ricercare parole chiave attinenti con l’offerta lavorativa, o esperienze specifiche in settori rilevanti per l’employer, assegnando priorità a candidati specifici.

Tuttavia, negli ultimi tempi si comincia a vedere come l’IA non sia utile solamente ad automatizzare i processi, ma anche a fornire dati e insight dapprima molto difficili da ottenere.

Le prospettive si stanno infatti ampliando rispetto all’utilizzo “tradizionale” della tecnologia nell’ambito reclutamento. Una intelligenza artificiale, che può essere definita come la simulazione dell’intelligenza umana da parte di un computer, può fare molto di più.

Ad esempio, l’IA può assistere l’azienda all’apertura di una posizione, predicendo quanto tempo il recruiter potrebbe metterci a trovare un candidato adatto. Può anche prevedere il costo associato alla ricerca, e la probabilità che una data persona lasci il lavoro entro un anno dall’assunzione.

Un altro caso di utilizzo dell’IA nel reclutamento è la possibilità di effettuare “skill matching”, identificando, per ogni candidato, la posizione ideale in azienda, anche grazie allo storico dei dati di performance dei dipendenti già in forze all’organizzazione.

Questo tipo di strumento supera la classica scansione dei CV, perché si basa su algoritmi che vengono alimentati dai cosiddetti big data, ovvero fonti massive di dati che consentono al software non solo di trovare corrispondenze fra dati già acquisiti, ma di predire determinati scenari futuri a partire dalla situazione attuale.

Verso i limiti, ed oltre

 

La grande differenza, quindi, tra efficienza data da un automatismo e insight fornito dall’IA, è che la funzione HR non solo svolgerà il proprio lavoro più in fretta, ma potrà prevendere, idealmente con sempre maggiore precisione, quanto un candidato rimarrà in azienda e quale sarà la sua performance, e la probabilità che si adatti al contesto organizzativo, sulla base del suo storico lavorativo.

I limiti di questa tecnologia sono però molti; c’è sempre il rischio che i bias e i preconcetti delle persone o dell’organizzazione stessa che alimenti l’IA con i propri dati, vengano trasmessi alla tecnologia ed amplificati in termini di scala. A parer di chi scrive, un altro problema è che potremmo presto assistere ad una normalizzazione di servizi che non solo analizzino la storia lavorativa di un candidato, ma anche i suoi post online, sui social ad esempio, profilando la persona in base alla sua “online print”. Questo fornirà una falsa sensazione di sicurezza al reclutatore, che riceverà quantitativamente ancora più dati sul candidato, senza che però siano necessariamente più utile a conoscere chi si abbia davanti.

 

PMI: Perché Mi Interessa?

 

Gli strumenti IA come quelli descritti sono utilizzati da grandi aziende, e hanno consentito di ottenere milioni di dollari di risparmio, in particolare nella prevenzione del turnover. Conoscere questi strumenti dovrebbe importare alle realtà italiane, specialmente le PMI.

Si, anche se non li useranno mai.

Questo perché la nascita di questi strumenti ci sta dicendo che, nel futuro, la funzione HR sarà sempre più strategica, e dovrà sempre di più giocare un ruolo fondamentale negli obiettivi di bilancio. Basta porsi le domande giuste.

Infatti, i milioni di risparmi ottenuti da aziende come IBM, Credit Suisse e Nielsen mostrano che si dovrebbe spostare l’attenzione su aspetti “invisibili” come il turnover, l’adattamento all’ambiente di lavoro, l’importanza dell’onboarding e di processi di reclutamento efficaci.

E per farlo non serve necessariamente una IA, e nemmeno un approccio quantitativo, basato sui big data.

L’importante è che sia la proprietà sia la funzione HR delle PMI riconoscano il valore di un approccio strategico, umano e di bilancio alla gestione del personale, in particolare focalizzando l’attenzione a specifiche domande, come “questa persona si troverà bene da noi?” “che esperienze ho avuto in passato con dipendenti dal profilo simile a questa persona?”, “cosa posso fare per rendere la vita migliore a questo lavoratore?” e “quali voci di bilancio sono direttamente o indirettamente migliorabili lavorando sulle politiche HR?”.

Per questo può essere utile, per le PMI, guardare agli esempi portati dalle organizzazioni più avanzate per capire quali siano le pratiche più vantaggiose per azienda e persona. Gli obiettivi di performance e benessere che l’IA può aiutare a raggiungere sono infatti replicabili anche in scale ridotte, e senza algoritmi complessi.

Ad esempio, se le grandi multinazionali hanno risparmiato milioni analizzando ed anticipando le cause del turnover grazie all’IA, lo stesso obiettivo può essere raggiunto da una piccola funzione HR, che utilizzi strumenti che prediligano la qualità alla quantità e adottando una prospettiva umana ed aperta, parlando francamente e coinvolgendo i dipendenti.

L’IA può quindi ispirarci, mostrandoci su quali elementi sia più importante lavorare, ma le soluzioni sono e saranno sempre applicabili anche su scale ridotte, grazie ad un approccio umano e qualitativo.

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Le Competenze Digitali: oltre il Pacchetto Office

Le Competenze Digitali: oltre il Pacchetto Office

Sia persone in cerca di lavoro sia i reclutatori dovrebbero prestare particolare attenzione ad una sezione del Curriculum spesso messa in secondo piano: le competenze digitali.

Avere competenze digitali non significa solo “saper usare un computer”, ma neanche essere esperti in coding e programmazione! Significa saper utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie, in particolare Internet.

Anche se escludiamo le posizioni non tecniche, ad oggi molti annunci di lavoro richiedono almeno il pacchetto Office, che la maggior parte delle persone include (e solo quella) nel proprio CV. Queste posizioni possono riguardare figure amministrative, commerciali, di marketing, di segreteria, oltre che molte altre. Inoltre, può venir richiesta la conoscenza di software specifici come CRM o software per la pianificazione delle attività.

Saper usare questi programmi è chiaramente una competenza importante (e non scontata), ma quando al lavoro ci sediamo di fronte ad un computer o tiriamo fuori dalle tasche il nostro cellulare, si apre un mondo di possibilità e di sfide che non sempre sono immediatamente visibili.

E tutti noi lo sappiamo bene: quante volte abbiamo partecipato a videoconferenze in cui un partecipante non riusciva a sentirci, perché non era in grado di impostare la sorgente audio corretta (ad es. le cuffie)? Quante volte capita che un collega, cliente o supervisore riceva via mail un file che non riesce ad aprire? O non sappia condividere una cartella di lavoro? O editare un file PDF?

Queste ed altre piccole difficoltà possono sembrare banali, ma nel lungo periodo possono creare grandi problemi, a partire da una progressiva inefficienza quotidiana fino, e soprattutto, ad una mancanza di percezione di efficacia e di utilità delle persone meno “digitali” che, rassegnate all’idea di essere impacciate con le nuove tecnologie, possono ritenere il loro contributo meno prezioso di quello di colleghi con maggior dimestichezza, spesso più giovani.

Facciamo chiarezza: avere competenze digitali, non significa saper convertire un PDF o condividere una cartella su Drive. Significa avere sufficiente scioltezza con le tecnologie da rendersi conto che davanti a questi semplici problemi, spesso una sufficiente ricerca sui motori di ricerca può darci le risposte che cerchiamo. Significa anche saper leggere le istruzioni così come vengono proposte, ad esempio su forum, tutorial, post su social, e replicarle sui nostri computer, senza errori. Significa individuare le informazioni corrette e separarle da quelle che non si applicano al nostro caso, ad esempio se usiamo un PC Windows, non seguiremo le istruzioni per Apple.

Ma non solo: significa anche riconoscere i propri limiti e chiedere supporto ai colleghi, dimostrando apertura mentale e voglia di crescere.

Le competenze digitali possono portare una persona, e le aziende che la assumono, molto lontano: pensate ad una figura commerciale esperta nel raccogliere informazioni online su potenziali clienti, o ad un addetto marketing deciso ad imparare a leggere in maniera analitica i dati relativi al flusso di visite ad un sito web, oppure ancora ad una figura contabile che impari in breve tempo ad utilizzare il nuovo software di gestione.

Assumere figure di questo tipo diventa fondamentale, così come saper far risaltare queste competenze in un Curriculum da una parte, e saperle leggere dall’altra. Un CV dovrebbe infatti sempre contenere esempi di come il candidato abbia risolto problemi di mansione o organizzativi grazie alle proprie competenze digitali, o di come si sia dimostrato attento ai propri limiti e abbia imparato a sviluppare queste capacità, a partire da mancanze riconosciute.

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