La nota frase: “Non è la specie più forte o la più intelligente a sopravvivere, ma quella che si adatta meglio al cambiamento” comunemente (ma anche erroneamente) attribuita a Charles Darwin, ci racconta che l’evoluzione sulla terra ha visto favorito l’uomo sugli altri animali in quanto essere maggiormente in grado di plasmare il proprio comportamento in funzione delle mutevoli condizioni ambientali.
Tale capacità ha garantito agli esseri umani la possibilità di sopravvivere ad animali molto più forti di loro.
Allo stesso modo la capacità di adeguarsi al contesto aziendale, sulla base dei compiti assegnati o della personalità dei colleghi, è espressione dalle qualità intellettuali della persona più adattabile, che è in grado cioè di rispondere al meglio agli stimoli dell’ambiente in cui si trova.
Le aziende, per progredire in un’epoca di estrema competitività come quella attuale, hanno sempre più bisogno di assumere talenti con comprovate doti di flessibilità.
I processi di selezione il più delle volte però non sono in grado di misurare tale capacità. Normalmente alla fase di screening iniziale seguono l’intervista (telefonica, in video e/o di persona) in cui si approfondisce il percorso professionale del candidato, le hard skills (competenze tecniche) maturate nelle precedenti esperienze e quelle soft (comunicazione efficace, capacità di lavorare in gruppo, gestione dello stress, ecc…) tra le quali ci dovrebbe essere appunto la capacità di adattamento.
Questo tipo di analisi però è limitata ad una chiacchierata in cui il selezionatore cerca di far emergere tale capacità sulla base di quanto raccontato dal candidato delle sue precedenti esperienze o su attività extra-professionali.
Ad esempio nei miei processi di selezione quando voglio approfondire tale tema mi ritrovo a fare domande come le seguenti:
Qui l’obiettivo è comprendere se c’è, da parte del candidato, passione per le nuove sfide e la voglia di imparare qualcosa di nuovo.
Con questa domanda voglio capire se la persona ha voglia di esplorare nuovi modi di lavorare, se approccia positivamente il cambiamento.
La risposta può rivelare quanto la persona sia consapevole del fatto che il proprio lavoro possa cambiare nel tempo e di come reagisce a questo cambiamento.
Niente di scientifico quindi. Anche se ad un selezionatore di esperienza le risposte fornite possono dare importanti indicazioni sulla persone che siede di fronte durante un colloquio.
Molti recruiter con cui ho lavorato nel tempo hanno manifestato la necessità di avere strumenti sempre più sofisticati che li supportassero nei processi di selezione. Strumenti in grado di misurare caratteristiche della persona che andassero oltre alla valutazione delle competenze tecnico-professionali. Strumenti che permettessero loro di accelerare tali fasi della valutazione e riducessero la possibilità di errore. Negli anni sono nati i più svariati test: personalità, cognitivi, attitudinali, ecc… Nulla espressamente dedicato alla misurazione dell’adattabilità.
Oggi finalmente questo strumento c’è. Si chiama Jemma Adaptability Index.
Founder & Ceo, Ricercamy s.r.l.
Mi occupo da vent’anni di Ricerca e Selezione del Personale.
Una forte curiosità unita al desiderio di trovare nuove formule per soddisfare le esigenze di recruiting dei clienti sono la mia missione.
Credo fortemente che l’unione di competenze e tecnologia rendano l’Head Hunting Smart.