Killer Questions: Killer per chi?

In un mondo del lavoro sempre più digitalizzato ed informatizzato, il Web propone ogni giorno infinite possibilità a chi sta cercando una nuova occupazione.

Notiamo nuove realtà lavorative in ogni momento, mentre guardiamo le notizie o rispondiamo a una e-mail, e in alcuni casi…proprio mentre stiamo lavorando.

Dai Social Network come Linkedin, ai siti di recruitment come InfoJobs, Monster e Indeed, la ricerca del lavoro appare più dinamica e veloce rispetto al passato, e sempre meno basata su un’impostazione classica del tipo “porta a porta”, con curriculum cartaceo alla mano. Nel 2014, l’Istat evidenzia questo cambiamento: il 63,6% dei giovani tra i 15 e i 34 anni utilizza Internet per cercare lavoro.

Per far fronte alla grande quantità di autocandidature in entrata, le risorse umane ricorrono all’utilizzo di strumenti tecnologici in grado di velocizzare la verifica dei requisiti necessari che sembrano essere, nella maggior parte dei casi, “imprescindibili”. L’implementazione di una metodologia che filtra in modo automatico le candidature, prima di destinarle alle mani dei selezionatori, taglia fuori gran parte di coloro che vogliono proporsi per un nuovo lavoro, ma non possiedono in quel momento tutti i requisiti necessari.

Stiamo parlando delle cosiddette Killer Questions, ovvero domande strategiche e altamente specifiche, poste alla fine di una candidatura spontanea, che, in modo semplice e immediato, verificano se il candidato possiede le competenze tecniche richieste oppure indagano su informazioni più generali, come ad esempio “Sei disposto a trasferirti per lavoro?”.

Se da un lato l’utilizzo di questi strumenti facilita e velocizza il lavoro di scrematura dei Curriculum da parte degli addetti delle risorse umane, dall’altro ricordiamo che le Hard Skills possono essere insegnate (e acquisite) investendo il tempo necessario, e che non rappresentano l’intera gamma di competenze che il candidato possiede.

Le Soft Skills, infatti, considerate parte fondamentale del lavoratore, rispecchiano il back-ground socio culturale della persona, e sono la somma di tendenze comportamentali ed esperienze di vita, lavorativa e non.

Pensiamo a un candidato che nel momento della candidatura manca della competenza “linguaggio JavaScript”, ma che è tendenzialmente predisposto al raggiungimento di obiettivi, possiede senso di autoefficacia e ha fiducia in sé. Se adeguatamente formato, raggiungerà il livello di coloro che già in partenza possiedono la competenza, ma che non necessariamente possiedono la determinazione del nostro candidato.

In un’ottica di valorizzazione del lavoratore in ogni sua sfaccettatura, l’applicazione di “domande killer” a competenze meno tecniche e più umane, come nel caso delle Soft Skills, risulta limitante.

Ad esempio, saper comunicare efficacemente, essere in grado di tenere testa allo stress o saper lavorare in gruppo sono capacità relazionali e comportamentali difficilmente valutabili tramite un’unica e schietta domanda, e, per via della loro natura complessa, necessitano di un ottimo valutatore.

Le Soft Skills rappresentano un fattore cruciale di differenziazione tra i lavoratori, e possono favorire o ostacolare il successo del singolo, ma anche dell’azienda. Uno studio del 2018 (World Economic Forum’s Future of Jobs Report) sottolinea l’importanza di queste competenze trasversali, e, allo stesso modo, la difficoltà di individuarle durante la fase di assunzione. L’effettiva presenza di Soft Skills, è verificabile principalmente sul campo, o tramite strumenti realizzati ad hoc, come ad esempio il nostro Jemma Adaptability Index.

L’utilizzo di domande Killer volte all’esclusione dei candidati “non competenti”, porta con sé il rischio di minimizzare e sottovalutare il lavoratore nella sua totalità. In questo senso, tali domande potrebbero risultare “killer” più per l’organizzazione, che rischia in questo modo di perdere talenti, che per il candidato.

Unveil Consulting s.r.l.