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Il recruiting al tempo dello Smart Working

Il recruiting al tempo dello Smart Working

La pandemia di covid-19 che stiamo ancora vivendo ha cambiato molti dei nostri abituali comportamenti quotidiani. Oltre a limitare la possibilità di spostamento e di vivere la socialità come prima, a seguito dell’introduzione del distanziamento e dell’uso delle mascherine, ha enormemente inciso sulla quotidiana attività lavorativa.

 

Dopo un primo comprensibile momento di incertezza le aziende si sono dotate di strumenti tecnologici più sofisticati al fine di permettere la continuità lavorativa anche da remoto. Oggi termini quali Smart Working, Cloud, Webinar, ecc… sono entrati nel nostro lessico lavorativo.

 

Anche le aziende che stanno timidamente riaprendo i propri uffici hanno ancora una percentuale molto elevata di dipendenti operativi da remoto. Tale tendenza, al di là delle motivazioni sanitarie contingenti rimarrà, anche se in misura più ridotta, in moltissimi dei settori che hanno una buona parte di attività gestibile non necessariamente in presenza.

Chi si occupa di recruiting sa che i fattori da valutare sono tantissimi e molto spesso mutevoli durante l’iter che porta alla scelta del candidato migliore. Anche quando si è curato in ogni minimo dettaglio l’intero processo possono esserci dei fattori esogeni a complicare le cose. Una controfferta inaspettata, sopraggiunte difficoltà dell’azienda o… una pandemia.

L’ottica di chi si occupa di HR in azienda si è inoltre spostata dal trovare una persona al individuare il talento che non solo sia in grado di portare valore aggiunto, ma molto spesso possa rimanere all’interno del contesto per un lungo periodo.

Anche gli strumenti utilizzati si sono evoluti. Siamo passati degli annunci del venerdì sul Corriere della Sera, ai siti di job posting, all’utilizzo di database sempre più sofisticati, al ricorso alle video interviste in differita, all’intelligenza artificiale.

Quando tutti questi aspetti vengono curati il bravo selezionatore si ritrova con una shortlist di 3 profili tutti interessanti ed in linea con quanto richiesto. Il lavoro però non è finito qui. Adesso arriva la parte difficile, riconoscere chi tra questi validi candidati è il migliore per la propria azienda. Se dopo aver indagato il percorso di studi svolto, tutte le competenze maturate, dopo aver verificato ogni cambio di lavoro non emerge con forza la scelta migliore, se tutti i candidati sono egualmente interessanti, può essere utile di farsi aiutare dalla scienza.

Pensiamo soltanto che pre-pandemia gli smart worker in Italia erano meno di 600.000, oggi il Politecnico di Milano stima che siano più di 6 milioni e mezzo.

Tale nuova condizione non riguarda solo la mera quotidianità, ma anche altre fasi dei tipici processi aziendali.

Il mio lavoro di headhunter per le società in questi ultimi 18 mesi ha visto un forte cambiamento nelle fasi di caccia, selezione e presentazione dei candidati. Le aziende dopo aver interrotto di fatto qualsiasi assunzione hanno ripreso i processi di selezione rendendosi però conto che le disposizioni in materia di salute pubblica rendevano di fatto difficile se non impossibile procedere con i classici colloqui come in passato.

Ecco quindi che strumenti quali Skype, Zoom, Meet sono entrati a far parte della quotidianità anche di chi fino a meno di 18 mesi fa avrebbe preferito un incontro di persona.

I selezionatori ed i direttori del personale hanno scoperto, non senza sorpresa, che l’utilizzo di tali piattaforme rendeva i processi più snelli, più veloci senza necessariamente ridurne la qualità.

Oggi non è impossibile che un candidato riceva una lettera di assunzione dopo aver sostenuto alcuni colloqui tutti da remoto.  A volte anche la firma della lettera stessa avviene senza che ci sia stato un solo incontro di persona.

Come come può quindi un’azienda affrontare percorsi di recruiting dematerializzandolì completamente?

Oltre ai già citati strumenti per effettuare video interviste in diretta, i recruiter più al passo coi tempi hanno adottato l’uso di piattaforme per effettuare interviste in differita dov’è al potenziale candidato di loro interesse vengono sottoposte delle domande alle quali lo stesso risponde con un breve video utilizzando il cellulare o un computer. La comodità di tali piattaforme risiede nel fatto che i recruiter con pochi click posso invitare decine di candidati contemporaneamente. I candidati inoltre hanno la possibilità di individuare il momento e la location migliore per rispondere alle domande senza dover affrontare lunghe e costose trasferte. Si tratta quindi di una soluzione gradita a tutti.

Anche quei selezionatori abituati a sottoporre test, colloqui individuali con psicologi ai candidati di loro interesse possono trovare soddisfazione grazie all’evoluzione tecnologica. Esistono infatti sul mercato diverse soluzioni in grado di analizzare le soft skill, psico-attitudinali comportamentali, di intelligenza e… qualche tempo di adattabilità.

Quest’ultima è una novità assoluta in quanto in grado di offrire un indice di adattabilità del candidato all’azienda attraverso la compilazione di un semplice, ma al contempo sofisticato test online.

Semplice perché il tutto può essere svolto in maniera molto intuitiva e da remoto.

Sofisticato perché Jemma: future adaptability index (questo è il suo nome) è dotata di un algoritmo proprietario frutto di un lavoro di analisi svolto con la collaborazione con più di 50 aziende coinvolte nel progetto.

Jemma oltre ad essere un ottimo strumento in fase di selezione può essere facilmente utilizzabile anche per valutare le risorse già presenti in azienda per comprendere se le stesse sono grado di affrontare i cambiamenti che l’azienda dovrà mettere in atto per crescere in questi momenti difficili.

Vittorio Nascimbene

Founder & Ceo, Ricercamy s.r.l.

 

Mi occupo da vent’anni di Ricerca e Selezione del Personale.

Una forte curiosità unita al desiderio di trovare nuove formule per soddisfare le esigenze di recruiting dei clienti sono la mia missione.

Credo fortemente che l’unione di competenze e tecnologia rendano l’Head Hunting Smart.

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Soft skills e selezione del personale: perché l’MI6 non assumerebbe mai James Bond

Soft skills e selezione del personale: perché l’MI6 non assumerebbe mai James Bond

In una intervista, il capo dell’MI6 Alex Younger ha dichiarato che, se mai James Bond si presentasse alla porta della intelligence militare britannica, non verrebbe mai assunto. E non si tratta solo di una questione di stile di vita e di consumo smodato di alcolici.

Intelligence emotiva

Per essere accettati dall’MI6, ha proseguito Younger, bisogna dimostrare soprattutto di essere all’altezza del complesso ambiente in cui si opera e delle decisioni che è necessario prendere. Le sfide che gli agenti devono superare, infatti, non sono solo fisiche, ma anche etiche. La personalità di James Bond è fatta sì di inventiva e determinazione, ma non brilla di certo per l’adesione alle regole e convenzioni morali. Basti pensare quanto 007 non ci pensi due volte ad esercitare l’uso della sua licenza di uccidere, o a violare le leggi locali ed internazionali, per raggiungere il proprio obiettivo.

Un altro aspetto fortemente importante per l’intelligence britannica è la cosiddetta intelligenza emotiva, spesso definita come la capacità di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole le emozioni proprie e degli altri. Sicuramente non il lato forte di James, che un personaggio che difficilmente si lascia abbandonare alle emozioni e che in alcune interpretazioni rasenta perfino la sociopatia.

Infine, un’ultima skill nominata dal capo dell’MI6 è la capacità di lavorare in squadra, un aspetto che 007 non considera durante le sue avventure da eroe solitario.

MI6 piaciuto, quando puoi iniziare?

L’attenzione a quelle che oggi definiamo “soft skills” è sempre stata importante per tutte le organizzazioni, ma non sorprende che i primi veri strumenti per misurarle siano nati presso quelle organizzazioni che per definizione non possono e non devono fallire, e tra queste troviamo le strutture della Difesa di tutti i paesi. Non a caso, i primi questionari di reclutamento sono stati sviluppati dall’esercito americano 100 anni fa. 

All’epoca i test, chiamati Alpha e Beta, esploravano l’intelligenza dei cadetti, per poi determinare il loro potenziale come generali, ufficiali o soldati.  Sebbene la metodologia sia ad oggi superata, il fu un grande passo in avanti che vide, per la prima volta, l’utilizzo di uno strumento scientifico per il reclutamento, utile alla presa di decisioni strategiche in merito all’assegnazione e all’organizzazione del personale.

Con il passare del tempo e della evoluzione della cultura manageriale, le soft skills hanno raggiunto l’importanza che meritano nell’ambito della ricerca e selezione del personale. Abbandonato il concetto troppo ampio ed impreciso di intelligenza, oggi si fanno strada strumenti e tecniche per valutare le skills legate al cambiamento digitale, ma anche la capacità di imparare ad apprendere, gestire le responsabilità in autonomia e saper esprimere creatività ed innovazione.

Così come James Bond non potrebbe mai fare parte dell’MI6, è quindi probabile che una figura altamente specializzata, ad esempio un ingegnere o un programmatore, sia scartato in fase di selezione anche dimostrando altissime qualifiche tecniche perché non compatibile con la cultura aziendale, o non abbastanza capace di relazionarsi con i futuri colleghi.

Unveil Consulting s.r.l.

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Il motore del cambiamento non è l’esperienza

Il motore del cambiamento non è l'esperienza

Le organizzazioni umane stanno vivendo un momento di grande cambiamento: gli avvenimenti dell’ultimo anno hanno messo in discussione il quotidiano di tutti e hanno messo molti nella condizione di fermarsi a riflettere su cosa ci fosse di realmente buono e utile rispetto a cosa invece rappresentasse solamente un’abitudine.
Le organizzazioni aziendali non fanno eccezione: l’aspetto che è emerso con maggiore forza è stata la capacità (o incapacità) di affrontare un cambiamento e di trovare in tempi ragionevoli delle nuove modalità di approccio al business, di gestione delle persone, di selezione e di valorizzazione del proprio capitale umano. 
Questo ha fatto emergere due elementi importanti: il primo legato alla necessità da parte delle aziende di analizzare e di rivedere i propri valori, le proprie convinzioni, le proprie modalità operative e di gestione, il secondo legato alla necessità di capire da dove far partire l’evoluzione.
Evoluzione sì, perché di questo si sta parlando. Evoluzione in senso darwiniano: sopravvive il più adatto, non il più forte.
Tornando a temi più concreti, analizzando tutti i processi che hanno interessato i cambiamenti all’interno delle aziende, questi sono stati sempre voluti e/o guidati dall’alto. In altre parole, le persone che ricoprono ruoli di responsabilità e che quindi possiedono (o dovrebbero possedere) la visione sul futuro, trasformano questa in strategia e poi chiedono ai propri manager di tradurli in tattica.

Non solo: nel momento in cui le figure di responsabilità si trovavano in difficoltà in quanto non avevano le competenze (o le esperienze) per poter guidare, elaborare strategie o tattiche si sono fatte affiancare e formare da chi invece l’esperienza l’aveva maturata.
Questo approccio è efficace nel momento in cui l’esperienza sia effettivamente il valore necessario a portare un’evoluzione nelle organizzazioni.
Smartworking, digitalizzazione, sistemi olonici, leadership inclusiva: si tratta di concetti, di termini che hanno pochi anni di vita. Chi può dirsi veramente esperto?
Probabilmente nessuno, quindi chi può aiutare le persone che hanno la giusta visione a portare nelle loro organizzazioni i cambiamenti necessari a farle evolvere?
Gli ultimi arrivati: i neo assunti, i giovani, ma anche le persone che arrivano da settori diversi, ad esempio.
Quello che invece viene fatto in molte organizzazioni e cercare di formare e quindi di far cambiare il modo di lavorare o di pensare a chi ha già esperienza di azienda o settore e pretendere poi che queste persone si facciano portavoce verso i propri – chiamiamoli così – sottoposti.

La vera rivoluzione invece sta nel ribaltare completamente il flusso. Se vogliamo ad esempio impostare un modo di lavorare diverso – più digitale per usare un termine al momento molto di moda – devono essere le persone che hanno meno esperienza di azienda, ma maggiore dimestichezza con le tecnologie e che si sono formati in un mondo molto più simile all’oggi rispetto ai colleghi più senior.
Estremizzando: dovrebbero essere gli ultimi arrivati a formare le persone che sono già in azienda, imprenditori compresi.
Questo apre le porte ad un’altra riflessione: chiaramente non tutti gli ultimi arrivati sono in linea con la visione aziendale pertanto come faccio a selezionare correttamente quelle risorse che effettivamente potranno aiutarmi a concretizzare il cambiamento?
Valutando la loro adattabilità all’azienda che volgiamo ci aiutino a creare.
Si tratta quindi di passare da un paradigma in cui il vertice aziendale condivide con la propria prima linea (competente ed esperienzata) la sua visione, pretende che utilizzino la loro esperienza ( basata sul passato) per tradurla in tattiche, e che propongano dei piani di sviluppo coerenti per far evolvere le persone che coordinano ad un altro paradigma, in cui l’azienda assume persone diverse e valuta la loro compatibilità con la visione dell’azienda e lascia che siano loro a proporre la strategia da seguire e le tattiche arrivando ad essere loro i formatori dei loro capi.
Lo scriviamo così, tutto d’un fiato: chi lo sta facendo sa di che cosa stiamo parlando, chi non lo sta facendo sta perdendo forse la più grande opportunità di far crescere la propria azienda e le proprie persone. 

Oktopous s.r.l.

Cover Photo by Luke Southern on Unsplash.

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La selezione perfetta non esiste, si crea

La selezione perfetta non esiste, si crea

Occuparsi di selezione del personale è un mestiere difficile, lo sappiamo. I fattori alla base di un inserimento di successo sono molteplici: competenze del candidato, fattori di mercato, andamento dell’economia, attrattività dell’azienda, ecc…

Negli ultimi anni, complice una minore disponibilità economica, i percorsi di selezione sono diventati molto più accurati, spesso tortuosi. Le aziende non si possono più permettere inserimenti sbagliati e talvolta, a causa di questo, cercano profili di fatto inesistenti sia perché offrono troppo poco rispetto alla richiesta del mercato, sia perché pongono condizioni impossibili da trovare tutte insieme sullo stesso candidato.

D’altro canto i recruiter hanno saputo migliorarsi attraverso percorsi di studi universitari, master, esperienze sul campo. Si sono fatti le ossa in agenzie per il lavoro e società di ricerca e selezione del personale. Quando si presenta ad un colloquio il candidato non trova più dall’altra parte della scrivania solo il responsabile di funzione spesso molto bravo a riconoscere le competenze, ma molto meno valutare le soft skills.

La selezione perfetta non esiste, si crea

Chi si occupa di recruiting sa che i fattori da valutare sono tantissimi e molto spesso mutevoli durante l’iter che porta alla scelta del candidato migliore. Anche quando si è curato in ogni minimo dettaglio l’intero processo possono esserci dei fattori esogeni a complicare le cose. Una controfferta inaspettata, sopraggiunte difficoltà dell’azienda o… una pandemia.

L’ottica di chi si occupa di HR in azienda si è inoltre spostata dal trovare una persona al individuare il talento che non solo sia in grado di portare valore aggiunto, ma molto spesso possa rimanere all’interno del contesto per un lungo periodo.

Anche gli strumenti utilizzati si sono evoluti. Siamo passati degli annunci del venerdì sul Corriere della Sera, ai siti di job posting, all’utilizzo di database sempre più sofisticati, al ricorso alle video interviste in differita, all’intelligenza artificiale.

Quando tutti questi aspetti vengono curati il bravo selezionatore si ritrova con una shortlist di 3 profili tutti interessanti ed in linea con quanto richiesto. Il lavoro però non è finito qui. Adesso arriva la parte difficile, riconoscere chi tra questi validi candidati è il migliore per la propria azienda. Se dopo aver indagato il percorso di studi svolto, tutte le competenze maturate, dopo aver verificato ogni cambio di lavoro non emerge con forza la scelta migliore, se tutti i candidati sono egualmente interessanti, può essere utile di farsi aiutare dalla scienza.

La selezione perfetta non esiste, si crea

Esistono sul mercato test in grado supportare chi si occupa di scegliere le persone giuste per la propria azienda a fare una scelta ancor più consapevole. Si tratta di prodotti facili da utilizzare che non richiedono esborsi economici impegnativi, ma che sono comunque in grado di informazioni su di un singolo candidato utili a non commettere errori proprio alla fine di un percorso così impegnativo.

Ce ne sono di tutti i tipi: attitudinali, di personalità, linguistici, sulle soft skills,ecc… Vengono utilizzati da tempo con soddisfazione da moltissime aziende.

Hanno aiutato migliaia di recruiters a fare scelte più consapevoli, riducendo i tempi e costi della selezione.

Tra tutti questi strumenti però ne mancava uno. Non esisteva Infatti un test che fosse in grado di misurare l’adattabilità del candidato all’azienda.

Non esisteva, ma oggi c’è. Si chiama Jemma

Jemma è un test online facile da usare e dall’esito immediato in gradi di restituire un’analisi dell’adattbilità del candidarto all’azienda per la quale si candida.

Il test prevede una versione da sottoporre al candidato ed una versione aziendale destinata al serpondabile di funzione ovvero al futuro capo del candidato e/o ad un altro profilo direzionale.

Sarà proprio dall’elaborazione delle due versioni (quella del candidato e quella aziendale) che verrà definito l’indice di adattabilità espresso con un valore percentuale da 0 a 100 dove 0 significa nessuna adattabilità e 100 adattabilità totale. Oltre al dato numerico troverete un dettagliato report contenenti informazioni che vi saranno utili per fare la scelta giusta.

Jemma ti aiuta a fare una selezione perfetta…

Con Jemma avrai un’arma in più!

Vittorio Nascimbene

Founder & Ceo, Ricercamy s.r.l.

 

Mi occupo da vent’anni di Ricerca e Selezione del Personale.

Una forte curiosità unita al desiderio di trovare nuove formule per soddisfare le esigenze di recruiting dei clienti sono la mia missione.

Credo fortemente che l’unione di competenze e tecnologia rendano l’Head Hunting Smart.

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Il Lato Nascosto dell’Employer Branding

Il Lato Nascosto dell’Employer Branding

L’Employer Branding è quell’insieme di attributi e qualità, spesso intangibili, che definisce l’identità dell’organizzazione come luogo di lavoro, evidenziandone le caratteristiche distintive rispetto ad altre aziende.

Esso è considerato ormai il prerequisito fondamentale di ogni strategia di recruiting che si rispetti: secondo LinkedIn il 75% dei potenziali candidati effettua ricerche sulla reputazione dell’azienda prima di presentarsi per una posizione, e quasi il 70% dei candidati non accetterebbe un’offerta da un datore di lavoro con una cattiva reputazione.

Tuttavia, non tutti sanno che anche il processo di selezione può influire sull’employer branding di un’azienda.

Infatti, seppur il processo di selezione varia per ogni azienda, tutti devono garantire al candidato un processo equo, ovvero obiettivo, coerente e non discriminatorio. Utilizzare strumenti come test e questionari è un ottimo metodo per farlo. Ne esistono numerosissimi che valutano qualunque tipo di caratterista del candidato ed è uno strumento utilissimo per l’azienda, che potrà valutare in maniera oggettiva che il candidato soddisfi i requisiti necessari. Inoltre, è altrettanto utile per i candidati, che attraverso il risultato del test potranno conoscere meglio se stessi e, se vogliono, adoperarsi per migliorare le aree in cui presentano carenze.

Offrire questa possibilità di crescita al candidato influirà profondamente sulla sua esperienza con il tuo processo di selezione, un momento/fase sempre più importante per un’azienda. Infatti, il modo in cui i candidati si sentono riguardo alla tua organizzazione mentre attraversano le varie fasi del tuo processo di assunzione, non deve essere assolutamente sottovalutata, anzi è da considerarsi essenziale!

Esso influisce moltissimo sul tuo employer branding perché l’ascesa delle piattaforme digitali ha reso le recensioni e le valutazioni di candidati e dipendenti più ampiamente conosciute e più affidabili man mano che andiamo avanti nel 2021. Un’esperienza più impattante del candidato contribuisce enormemente a una migliore reputazione per la tua organizzazione. Inoltre, i candidati considerano l’esperienza positiva come prova di processi aziendali più consolidati e della conseguente affidabilità di un’azienda. Questo aiuterà i reclutatori ad attrarre i migliori talenti e renderà i candidati più incline ad accettare un ruolo nella tua azienda.

Questionari e test: come creare un’esperienza positiva?

Per riuscire a creare una esperienza positiva, è utile che al candidato venga restituito il risultato del questionario, anche se il candidato non sarà selezionato.

Infatti, un aspetto interessante che le organizzazioni spesso trascurano è il potere dei candidati rifiutati. Per ogni candidato che hai selezionato, ce ne sono probabilmente dozzine che hai rifiutato. Paradossalmente, i candidati che non hai selezionato influenzano la qualità delle persone che assumerai oggi e in seguito. Molti di questi candidati condivideranno la loro esperienza online e offriranno recensioni e valutazioni sul tuo processo di assunzione. Se hai fornito una comunicazione tempestiva, ringraziato per il loro tempo, aggiornato i candidati con il loro stato di assunzione e generalmente li hai fatti sentire apprezzati e importanti, i candidati respinti se ne andranno con un’opinione favorevole sulla tua organizzazione e sul tuo processo di assunzione.

Inoltre, sapere il motivo per cui non hanno ottenuto il lavoro li aiuterà a migliorare la volta successiva e anche a mantenere la loro autostima, sapendo che non hanno avuto successo perché un candidato più adatto ha avuto quel posto, piuttosto che non sentire nulla e presumere che fosse perché la loro domanda era così negativa da non giustificare una risposta. In questi casi, la tempestività è importante e non bisognerebbe lasciar passare giorni (o settimane) senza fornire un feedback al tuo candidato.

Quindi, che aspetti? Introduci strumenti affidabili nel tuo processo di selezione!

Ne esistono tantissimi che valutano le abilità del candidato. Jemma Adaptability Index assicura che i vostri candidati soddisfino quello che è il requisito più difficile da valutare in un processo di selezione: l’adattabilità del candidato alla azienda.

In sintesi, non sottovalutare l’esperienza dei candidati durante il processo di selezione perché ne va della reputazione della tua azienda. Grazie a Jemma Adaptability Index puoi contare su un’esperienza non solo positiva ma anche unica, poiché offre ai tuoi candidati la possibilità di conoscersi e migliorarsi!

Unveil Consulting s.r.l.

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Valutare la capacità di comunicazione: un’idea da applicare al colloquio di selezione

Valutare la capacità di comunicazione: un’idea da applicare al colloquio di selezione

…ottime capacità comunicative completano il profilo. Con questa frase si chiudono molti annunci di lavoro lasciando intendere che la dimensione della comunicazione sia un elemento molto importante che i candidati devono possedere per potersi inserire con successo nell’azienda.

Dimensione importante, ma come sempre difficile da valutare: non esiste infatti un concetto assoluto di comunicazione adeguata, ma come sempre si tratta rapportare questa dimensione allo specifico contesto.

Quindi sarebbe più corretto scrivere “capacità comunicative adatte al contesto aziendale completano il profilo”.

Passando dalla teoria alla pratica come si può capire se una persona ha le giuste capacità di comunicazione per potersi inserire nella nostra azienda?

La nostra esperienza come selezionatori ci ha dato alcune indicazioni operative per definire una “mappa” per poter valutare questa dimensione durante i colloqui di selezione: ecco la nostra idea.

Indagare in primo luogo su che cosa significhi comunicazione nella nostra azienda. Ad esempio, la persona che assumerò entrerà a far parte di un team che è abituato a condividere e ascoltare le idee di tutti, oppure vi è una persona preposta alla raccolta degli spunti e delle idee che poi le organizza e le sottopone all’attenzione del responsabile/team leader? In questo caso l’oggetto della comunicazione è sempre lo stesso, ma cambia la modalità con cui le informazioni vengono raccolte e condivise.

Una volta definito questo aspetto avrò più chiaro che tipo di persona sarà più adatta: se quindi nel team di inserimento la modalità “brainstorming” è quella adottata, una persona propositiva che cerca il confronto e accetta anche l’ipotesi che la propria idea possa essere pubblicamente messa in discussione senza provare imbarazzo, sarà decisamente da preferire rispetto a un profilo con meno attitudine alla visibilità e al confronto.

Definito quindi questo schema, in fase di colloquio sarà opportuno indagare su come vengano condivise le informazioni all’interno dell’organizzazione attuale e che cosa vorrebbe trovare di diverso la persona nella nostra azienda.

Valutare la capacità di comunicazione: un’idea da applicare al colloquio di selezione_Comunicazione

Comunicazione però significa anche feedback: questo aspetto spesso viene sottovalutato e non adeguatamente sondato durante il colloquio. Avere capacità comunicative adatte al contesto significa anche essere allineati rispetto alle modalità di richiesta, ricezione e condivisione dei feedback.

Anche in questo caso quindi è importante fare un approfondimento in fase di colloquio. Che cosa potremmo chiedere ad un candidato per comprendere questo aspetto?

In primo luogo è necessario inquadrare il contesto di provenienza facendo delle domande specifiche rispetto all’esistenza o meno di momenti di confronto con il proprio responsabile o colleghi e come questi vengano impostati e gestiti.

Successivamente un’idea potrebbe essere quella di chiedere al candidato che atteggiamento avrebbe di fronte ad una situazione che potrebbe verificarsi nella nostra azienda. Ad esempio, si potrebbe chiedere come reagirebbe se a fronte della presentazione di un lavoro fatto con fatica, grosso dispendio di energie e di tempo gli venisse restituito un riscontro tiepido o comunque non in linea con la propria aspettativa.

Questo esercizio ha per l’azienda due ordini di vantaggi.

Il primo legato all’attività di analisi interna: capendo il significato di comunicazione l’azienda è in grado di capire se vi sia un passaggio fluido di informazioni e feedback e se questo rappresenti per le persone un elemento più o meno importante.

In seconda battuta permette al selezionatore di impostare in maniera più efficace gli step di selezione andando ad approfondire tutti gli elementi che compongono il profilo da ricercare e che si vogliono ritrovare nella persona da assumere.

Vi è anche un ulteriore effetto indiretto che è quello di rendere più scientifico il processo di selezione dedicando il giusto tempo ad approfondire tutti i dettagli del ruolo evitando così di mettere i candidati nella condizione di fare dei colloqui ripetitivi che possono essere percepiti di poco valore.

Oktopous s.r.l.

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Recruiting: con i test il selezionatore ha un’arma in più

Recruiting: con i test il selezionatore ha un’arma in più

Affianca alla tua sensibilità di selezionatore i test più evoluti per non sbagliare nessuna selezione

Nel 2021 la selezione del personale continua ed essere un tema molto delicato nelle aziende di tutte le dimensioni e settori.

Gli incerti risultati economici, condizionati pesantemente dalle restrizioni imposte dal governo a seguito dell’emergenza covid, hanno significativamente ridotto il numero degli inserimenti in organico. Pertanto ogni nuova figura assunta ha un’importanza maggiore che in passato. Di fatto le aziende non possono sbagliare.

C’è però un fattore da considerare. Le difficoltà non hanno riguardato tutti i settori in egual misura. Se alberghi, ristoranti e in generale le attività legate al turismo hanno visto una riduzione quasi totale del proprio reddito, altri ambiti (grande distribuzione, informatica, ecc…) hanno sostanzialmente tenuto i livelli pre-covid. Per ciascuna realtà quindi, che si tratti una sostituzione o di un nuovo inserimento, la competizione non manca.

Le aziende che vogliono rinforzare la propria struttura con i migliori talenti hanno introdotto strumenti in grado di velocizzare il processo di selezione e ridurre il margine di errore. Intelligenza artificiale per lo screening dei curricula, video colloqui in differita, test online.

Ed è proprio di questi ultimi che vi vorrei parlare.

Ammettiamo di essere riusciti ad individuare, dopo una serie di colloqui, i due/tre candidati finalisti per la posizione vacante che dobbiamo andare a ricoprire. Da buoni recruiter abbiamo maturato la convinzione che i profili siano tutti preparati e interessati all’azienda. Il loro futuro responsabile però è una persona della spiccata personalità, carismatica, competente, ma a volte fin troppo pretenzioso con le proprie persone. Negli ultimi tempi il team che dirige ha perso alcune importanti risorse e nei colloqui di dimissioni le cosiddette “Exit Interview” è emerso che la scelta del lavoratore fosse dettata anche dal difficile rapporto con il proprio superiore. 

Allora cosa fare?

Può essere molto utile, in tali circostanze, sottoporre alla rosa finale dei candidati alcuni test per avere una conferma o una smentita sulle proprie impressioni di selezionatore.

Esistono sul mercato ottimi prodotti, utilizzabili totalmente online, che mettono in evidenza le soft skills della persona per capire come potrà comportarsi nelle dinamiche di un gruppo di lavoro in termini di apertura mentale, problem solving, capacità di lavorare in team, ecc…

Se però vogliamo uno strumento in grado di misurare la capacità di adattamento del candidato all’azienda abbiamo una sola scelta: Jemma: future adaptability index

L’innovazione di Jemma, frutto di un sofisticato algoritmo proprietario e delle più di 50 aziende coinvolte nel progetto, permette a tutti coloro che devono selezionare un nuovo profilo di non trascurare quanto lo stesso si adatti al team e all’azienda nel quale verrà inserito. Di fatti il test prevede una versione aziendale che potrà essere sottoposta anche al futuro capo del candidato e/o ad un altro profilo direzionale.

Sarà proprio dall’elaborazione delle due versioni (quella del candidato e quella aziendale) che verrà definito l’indice di adattabilità espresso con un valore percentuale da 0 a 100 dove 0 significa nessuna adattabilità e 100 adattabilità totale. Oltre al dato numerico troverete un dettagliato report contenenti informazioni che vi saranno utili per fare la scelta giusta.

Non lasciare nulla di intentato. 

Con Jemma avrai un’arma in più! 

Vittorio Nascimbene

Founder & Ceo, Ricercamy s.r.l.

 

Mi occupo da vent’anni di Ricerca e Selezione del Personale.

Una forte curiosità unita al desiderio di trovare nuove formule per soddisfare le esigenze di recruiting dei clienti sono la mia missione.

Credo fortemente che l’unione di competenze e tecnologia rendano l’Head Hunting Smart.

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3 errori da non fare quando assumi

3 errori da non fare quando assumi

Assumere nuovi talenti può essere complicato ed estenuante. Mentre conduci i colloqui e valuti i meriti di ciascun candidato, i candidati valutano anche te e la tua azienda.

Il processo di assunzione è più complesso della scelta della persona giusta per il lavoro; attira e assicura i migliori candidati, i cui valori sono in linea con la missione e i principi della tua azienda.

È importante per le aziende di tutte le dimensioni implementare una strategia di assunzione efficace, la mancanza di essa comporta infatti numerosi errori tra cui fidarsi della prima impressione, limitare il pool di ricerca, mancanza di trasparenza e moltissimi altri.

Tra tutti questi noi vorremmo enfatizzarne tre

1) Non avere un modo o piano di valutare l’adattabilità del candidato al contesto aziendale

Non valutare l’adattabilità del candidato significa assumere qualcuno che potrebbe non adattarsi alla cultura aziendale, ovvero con le convinzioni, comportamenti e valori tua organizzazione. Questo, come abbiamo già visto in precedenti articoli, potrebbe portare a conseguenza molto spiacevoli.

Ma come valutarla quindi? Molti recruiter fanno qualche domanda durante la fase di colloquio, ma questo non è sufficiente a valutare la capacità di adattamento del candidato. È infatti essenziale utilizzare uno strumento che possa valutare l’adattabilità di ciascun candidato allo specifico contesto aziendale.

2) Usare strumenti specifici (questionari etc) senza sapere come leggere i dati

Alcune volte si pensa che basti avere uno strumento per sapere come funziona, come se leggere un grafico fosse una cosa intuitiva. Assolutamente no! Ogni test è stato testate e ritestato su dei campioni e per ogni variabile vi sono dei valori molto specifici da prendere in considerazione. La statistica è uno strumento delicato, e utilizzare un test senza sapere come leggerne i dati diminuisce, se non addirittura elide, l’efficacia del test. Un’azienda si ritroverebbe cosi non solo ad avere speso parecchi soldi per l’acquisto del test, ma ad aver anche assunto la persona sbagliata.

3) Non restituire i report ai partecipanti in fase di colloquio

La restituzione del report è essenziale per il candidato per 2 principali motivi: perché il soggetto ne ha diritto, e perché può essergli utile per orientare le proprie scelte e i propri comportamenti. Inoltre, la restituzione faccia a faccia dei risultati di un questionario può essere un ottimo primo passo per conoscere al meglio un candidato,

La restituzione stimola, facilita ed implementa lo sviluppo personale e professionale. Le persone conoscono più di prima e meglio di prima alcuni aspetti di sé, dei propri limiti e delle proprie risorse. Inoltre, sostiene il processo di empowerment e consente di assumere comportamenti più adeguati alla costruzione di un personale progetto di benessere. Il confronto tra i risultati delle prove e la propria auto-percezione costituisce quindi una preziosa opportunità per il soggetto: un momento più o meno frustrante, più o meno gratificante, ma comunque utile se gestito con intelligenza. Non restituirgli il report priverebbe il candidato di una possibilità di crescita e lo lascerebbe nell’incertezza.

 

In sintesi, è essenziale valutare l’adattabilità di un candidato e per farlo è necessario utilizzare strumenti adeguati di cui bisogna essere in grado di leggere i dati. Come fare ciò? Affidati agli esperti di Jemma Adaptability Index, un test semplice da somministrare, con un report semplice da leggere, ideale per conoscere al meglio i candidati!

Unveil Consulting s.r.l.

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La selezione è importante anche quando la ricerca è (sembra) senza costi

La selezione è importante anche quando la ricerca è (sembra) senza costi

Il fatto che oltre il 60% delle ricerche di personale si risolvano grazie al networking è ormai un dato assodato. Quando parliamo di networking non intendiamo la raccomandazione bensì la proficua attività di contattare persone presenti nel proprio network professionale per proporgli un’opportunità di lavoro presso la nostra Azienda oppure chiedendo a questi ultimi di segnalare qualcuno di loro conoscenza.

Il tutto a costo zero o comunque con il minimo sforzo.

Ma è davvero così? L’esperienza dei nostri clienti e candidati ci conferma che il networking è uno strumento potente per la fase di ricerca tuttavia questo non è affatto a costo zero.

Ma andiamo maggiormente nel dettaglio.

Se l’esigenza è quella di assumere una persona con un profilo specifico, magari operativo e per il quale non sono richieste particolari competenze tecniche o doti di responsabilità o ancora per necessità temporanee di personale poco specializzato, allora può essere un canale adeguato e sufficiente.

Quando però la selezione riguarda personale che deve possedere delle doti personali specifiche, delle competenze manageriali, di leadership o che comunque andrà a ricoprire (nel breve, ma anche nel medio lungo termine) dei ruoli strategici per livello o interazione, allora la segnalazione potrebbe non essere sufficiente.

Facciamo un esempio: se devo cercare un HR Manager e chiedo ad un amico HR Manager di segnalarmi una persona. Sicuramente questi mi indicherà delle persone che considera valide sotto il profilo professionale e per certi verso anche personale.

Tuttavia questo non basta: se la persona non è adatta al nostro aziendale anche il miglior professionista è destinato a fallire il proprio compito.

Il processo di selezione di una persona non termina nel momento in cui il candidato prende servizio, ma prosegue anche nei primi mesi di inserimento durante i quali l’Azienda investe sulla persona assunta per integrarla nel proprio contesto.

Tutto questo ha un costo in termini di tempo e risorse impiegate: maggiore è l’adattabilità fra neo assunto e contesto lavorativo minore sarà lo sforzo necessario per integrarlo. Ecco perché nessun processo di selezione può dirsi privo di costi.

Pertanto, se il networking rappresenta un buon canale per la parte di ricerca per quanto riguarda l’attività di selezione è importante che la scelta venga effettuata con il supporto di uno strumento di valutazione dell’adattabilità.

Valutare l’adattabilità di una persona al nostro contesto aziendale permette anche di minimizzare il rischio di fare delle valutazioni non basate su criteri oggettivi: se una persona di nostra fiducia ci segnala un candidato è possibile che il nostro giudizio ne venga influenzato.

Così come quando ci viene presentato un candidato che proviene da un’azienda verso la quale abbiamo un parere positivo rischiamo di non formulare su di lui una valutazione oggettiva.

La valutazione dell’adattabilità non si contrappone al networking, ma diviene parte di esso.

Jemma: future adaptability index è il primo strumento ideato per valutare l’adattabilità di una persona allo specifico contesto aziendale.

In che modo Jemma può supportare il networking? Sostanzialmente divenendo parte del processo decisionale, inserendosi nella fase successiva al primo incontro per andare a valutare se e in base a quali caratteristiche la persona sia adatta all’azienda.

Come lavora Jemma?

Jemma svolge un ruolo simile a quello di un selezionatore: per valutare l’adattabilità di una persona ad uno specifico contesto “chiede” alla prima quanto siano importanti aspetti quali la presenza di un clima di collaborazione e aiuto, l’autonomia nella scelta sulle modalità e tempi di lavoro e la facilità con cui circolano le informazioni.

Alle persone che rappresentano l’Azienda (titolare, membri dal management, diretto responsabile della persona da assumere) viene invece chiesto quanto siano secondo loro presenti gli aspetti sopra citati.

Il confronto fra percepito dell’azienda e aspettativa del candidato genera l’indice di adattabilità candidato/ contesto che ha come scopo quello di dare una fotografia della situazione: lo scopo può essere sia quello di escludere chi si rivelerà eccessivamente distante oppure capire se sia l’azienda a dovere modificare qualcosa per poter essere adatta ad accogliere una persona con quelle caratteristiche.

Jemma non si ferma qui: come ogni buon selezionatore non si limita ad analizzare la compatibilità candidato/ azienda, ma ad esplicitare se la persona ha un atteggiamento proattivo o reattivo di fronte ad un cambiamento, a quale livello (individuale, di gruppo o organizzativo) si manifesti meglio la sua adattabilità e quali caratteristiche individuali supportino la sua adattabilità fra apertura al cambiamento, autoefficacia e impiegabilità.

In conclusione, un’attività di networking ben indirizzata e l’utilizzo di uno strumento come Jemma possono rendere efficace un processo di selezione svolto in autonomia.

Oktopous s.r.l.

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Qual è il migliore candidato per la mia azienda?​

Qual è il migliore candidato per la mia azienda?

Per chi si occupa di ricerca e selezione del personale la sfida più grande è quella di assumere nelle proprie aziende candidati in grado di garantire il miglior ritorno dell’investimento.

In vent’anni di attività di ricerca e selezione in consulenza mi è capitato però sovente di confrontarmi con Hr e recruiter delusi dall’esito di un’assunzione.

Spesso chi si occupa di selezione del personale si prodiga nell’individuare, contattare selezionare infine assumere profili di valore con l’obiettivo aumentare il livello di competenze e qualità generale dell’azienda.

A volte però tali inserimenti si rivelano prima o poi dei veri e propri fallimenti.

Perché?

Di sicuro i selezionatori hanno prestato grande attenzione al percorso formativo, all’esperienza maturata sul campo, alle soft skills di tutti i candidati coinvolti nel processo di selezione.

Non hanno lasciato nulla al caso, sottoponendo test psicoattitudinali, chiedendo referenze a precedenti datori di lavoro, organizzando colloqui anche con la linea per avere riscontro di più soggetti che saranno in seguito coinvolti nel lavoro con il candidato stesso

Allora se tutto ciò è avvenuto cosa non ha funzionato?

Partiamo dal presupposto che non esiste il candidato migliore in assoluto. Ogni persona ha elementi caratteriali e competenze diverse e non è detto che una persona che abbia ben performato in un determinato contesto possa esprimersi ugualmente bene in un’azienda diversa.

Da cosa dipende tutto ciò?

Innanzitutto dalle persone con le quali ci confrontiamo quotidianamente a livello lavorativo.

Come esseri umani infatti abbiamo la capacità più o meno innata di relazionarci con altri soggetti e di collaborare con gli stessi al fine di raggiungere un risultato condiviso. A volte nei team di lavoro si raggiungono equilibri in grado di agevolare tale collaborazione a volte no e addirittura può accadere che validi collaboratori si ostacolino più o meno inconsciamente vanificando così il raggiungimento dei suddetti obiettivi.

Possono sussistere però anche problematiche a livello individuale qualora la performance espressa sia lontana da quella attesa.

Allora cosa posso fare per scongiurare o ridurre ai minimi termini tali rischi?

Forse da validi professionisti della selezione quali siete avete provato a cercare sul mercato degli strumenti che permettessero di misurare la capacità di adattamento del candidato alla vostra azienda, ma non avete trovato nulla.

Non vi preoccupate, non avete sbagliato la ricerca. È che uno strumento che si adattasse al vostro scopo… non c’era.

Mentre oggi c’è e si chiama Jemma Adaptability Index!

Jemma non è il solito test, ma uno strumento semplice e potente che ti permetterà di misurare la capacità di adattamento delle persone al tuo contesto organizzativo.

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Vittorio Nascimbene

Founder & Ceo, Ricercamy s.r.l.

 

Mi occupo da vent’anni di Ricerca e Selezione del Personale.

Una forte curiosità unita al desiderio di trovare nuove formule per soddisfare le esigenze di recruiting dei clienti sono la mia missione.

Credo fortemente che l’unione di competenze e tecnologia rendano l’Head Hunting Smart.