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Qual è il segreto per abbattere il turnover e trattenere i migliori talenti?

Qual è il segreto per abbattere il turnover e trattenere i migliori talenti?

In Italia nel 2021 i dipendenti dimessi volontariamente dal proprio posto di lavoro sono aumentati di circa il 14% rispetto all’anno precedente, un incremento che si registra anche tra i lavoratori qualificati.

Il costo di un alto turnover è talmente significativo che da anni si stanno sviluppando sistemi di intelligenza artificiale capaci di predire i fattori che più influenzano questa decisione, ed individuare i lavoratori più a rischio.

Questi strumenti non sono ovviamente alla portata di tutti, ma esistono molti ambiti su cui la direzione HR può lavorare per mitigare gli effetti di questo fenomeno. 

Ad esempio, le migliori pratiche per evitare un abbandono prematuro del dipendente comprendono azioni come:

  • investire e migliorare costantemente il processo di onboarding 
  • identificare un chiaro percorso di carriera
  • incoraggiare formazione
  • premiare le performance
  • facilitare un sempre migliore equilibrio tra lavoro e vita privata.

Tuttavia, è bene porre particolare accento su quello che è probabilmente il processo più critico nella acquisizione e retention dei talenti, ovvero il processo di selezione.

È infatti fondamentale selezionare persone non solo che siano flessibili e aperte al cambiamento, ma che si adattino al contesto specifico aziendale.

Non è detto, ad esempio, che una azienda fortemente innovativa e dalla ridotta gerarchia sia il “match” più adatto per tutti! Di fatto, alcune persone lavorano meglio e con meno stress in contesti in cui vi sono regole precise e un flusso di informazioni rigido e ben definito.

Altre persone, invece, si adattano bene a nuovi gruppi di lavoro, anche internazionali, ma tendono a presentare criticità quando viene modificata la loro routine lavorativa o particolari strumenti: pensiamo ad aggiornamenti al software che utilizzano più spesso, o all’introduzione di un diverso ambiente di lavoro, ad esempio dall’ufficio a casa propria.

Insomma, l’adattamento al contesto aziendale è tanto fondamentale quanto difficile da quantificare.

Per questo, abbiamo creato Jemma Adaptability Index, il test per misurare la capacità di adattamento delle persone allo specifico contesto organizzativo. È stato creato grazie all’aiuto di più di 50 aziende italiane una accurata ricerca della letteratura scientifica, condotta da Psicologi del Lavoro!

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Unveil Consulting s.r.l.

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Reattivo vs Proattivo: quando una persona è pronta a fare un salto nella propria carriera professionale.

Reattivo vs Proattivo: quando una persona è pronta a fare un salto nella propria carriera professionale.

Oggi affrontiamo un tema che è il risultato di un confronto con un nostro candidato, Manager di un’azienda con il quale abbiamo parlato di adattabilità. 

Si parlava in particolare di quello che può essere l’atteggiamento di una persona nei confronti di un cambiamento e se rispecchiasse di più il concetto di adattabilità il fatto che la persona avesse un comportamento reattivo nei confronti del cambiamento, oppure un comportamento proattivo, quindi generando lei stessa un cambiamento. 

Prescindendo da quelle che potrebbero essere delle opinioni, questo argomento ci ha fatto ragionare su un aspetto molto importante: esiste un momento in cui una persona che svolge un ruolo operativo quindi senza il coordinamento o la responsabilità su altre persone, dimostra di essere pronta ad avere un avanzamento di carriera quindi ad avere una responsabilità superiore? 

La nostra opinione è stata la seguente: nel momento in cui una persona che ha da sempre avuto un comportamento reattivo nei confronti di un cambiamento senza aggiungere nulla alla mutata situazione, inizia ad avere un comportamento proattivo allora questa persona è pronta per essere quantomeno valutata per un avanzamento di carriera. 

Reattivo vs Proattivo quando una persona è pronta a fare un salto nella propria carriera professionale- Jemma Adaptability index

L’atteggiamento proattivo puoi esplicitarsi in modi diversi: può essere la proposta di una nuova soluzione ad un problema senza che questa gli venga richiesta, oppure può essere la definizione di nuove attività a fronte di input che vengono da lei stessa generati. 

Sarebbe quindi interessante organizzare un meccanismo di valutazione della performance che tenesse conto anche dell’atteggiamento nei confronti di un cambiamento se reattivo o proattivo per valutare il grado di prontezza di una persona nei confronti di un avanzamento di carriera che implichi un aumento della responsabilità. 

In quest’ ottica sarebbe opportuno che l’azienda stessa stimolasse questa attività creando non solo le condizioni ambientali per un confronto ma anche lasciando spazio alle persone per sperimentare qualcosa di diverso. 

Allo stesso modo sarebbe molto utile che le organizzazioni rendessero consapevoli le proprie persone di questo aspetto: se è vero infatti che passare da un comportamento o meglio da un atteggiamento reattivo ad uno proattivo è indice di maturità personale, ma anche professionale creare nelle persone questa consapevolezza sarebbe parte di un proficuo percorso di crescita.

Oktopous s.r.l.

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Nel lavoro è più importante la flessibilità dell’intelligenza​

Nel lavoro è più importante la flessibilità dell’intelligenza

Spesso mi viene chiesto quanto sia importante l’intelligenza nell’attuale mondo del lavoro.

E’ importante essere intelligenti?

E’ indubbio che sia importante essere intelligenti nell’odierno mondo del lavoro. L’intelligenza è utile inoltre in svariati contesti sociali: nelle relazioni interpersonali, negli sport, nei rapporti affettivi, ecc…

In un mondo iperconnesso, però, la concorrenza di persone intelligenti è estremamente elevata. Ciò vale soprattutto per ruoli in cui la digitalizzazione ha cancellato i confini: la contabilità, il marketing, l’analisi, la programmazione e così via.

Come puoi distinguerti

Dobbiamo quindi domandarci non tanto “quanto sono più intelligente?” ma piuttosto “Come posso distinguermi dagli altri?”. L’intelligenza non è un vantaggio sostenibile in un mondo iperconnesso come quello di oggi.

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La Flessibilità

La flessibilità sì. E’ proprio nell’ambito delle soft skills che si gioca la partita del lavoro nei prossimi anni. Le aziende avranno sempre più bisogno di risorse dotate di capacità relazionali e comportamentali che caratterizzano il modo in cui ci si pone nel contesto lavorativo. Tali doti soft dovranno essere sempre più formate e valorizzate.

Di seguito né indicherò alcune: autonomia, resistenza allo stress, attenzione ai dettagli, reattività, proattività, doti comunicative problem solving, team work, leadership.

I Vantaggi

L’essere flessibili nel mondo del lavoro vi darà un vantaggio competitivo. Potrete aspettare l’occasione giusta per la vostra carriera professionale, avrete maggiore probabilità di apprendere una nuova competenza quando sarà necessario. L’adattabilità vi permetterà di trovare la vostra passione e la vostra nicchia con i vostri tempi.

Scegliete voi quando fare le cose

La flessibilità, come abbiamo visto, vi permetterà di approcciare il lavoro in maniera diversa. Grazie a questa skill potrete stabilire una nuova routine ad un ritmo più lento. Avrete un vantaggio competitivo rispetto a coloro che punteranno tutto sull’intelligenza.

In conclusione

Se l’intelligenza non si può apprendere, sulla vostra flessibilità potrete invece lavorare. Sempre di più le aziende sono alla ricerca di persone in grado di adattarsi facilmente al mutare degli eventi. Capaci di saper leggere le situazioni che vivono e di reagire nel migliore dei modi. Abili a lavorare con gli altri e ad anticipare le richieste dei propri superiori.

E’ qui che si giocherà la partita del lavoro nei prossimi anni.

Vittorio Nascimbene

Founder & Ceo, Ricercamy s.r.l.

 

Mi occupo da vent’anni di Ricerca e Selezione del Personale.

Una forte curiosità unita al desiderio di trovare nuove formule per soddisfare le esigenze di recruiting dei clienti sono la mia missione.

Credo fortemente che l’unione di competenze e tecnologia rendano l’Head Hunting Smart.

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Reclutamento e Selezione: 3 futuri trend da conoscere

Reclutamento e Selezione: 3 futuri trend da conoscere

Nel prossimo futuro, assisteremo al consolidarsi di alcune tendenze importanti, che già in questi anni stanno plasmando ed influenzando il modo in cui le organizzazioni approcciano il mercato del lavoro.

Ad emergere vincenti saranno quelle aziende che attrarranno talenti grazie non solamente ad una cultura organizzativa dinamica e orientata allo sviluppo, ma anche equipaggiata con le giuste capacità per interpretare l’ambiente che la circonda. La sfida dell’adattabilità non si vince quindi solamente sul piano individuale, ma anche sulla capacità organizzativa di prevedere e gestire il cambiamento.

Le tendenze che esamineremo sono alimentate principalmente da tre fattori: la crescente instabilità dei contesti socioeconomici, l’evoluzione delle tecnologie digitali e il ricambio generazionale.

Vediamo insieme quali saranno 3 punti di attenzione che rimarranno tali per i prossimi anni a venire.

La Green HR

Per Green HR intendiamo tutte quelle azioni, promosse dalle risorse umane, che facilitino azioni concrete nell’ambito della sostenibilità ambientale. Sempre più aziende, spinte dai mercati e dalle forze politiche, stanno scegliendo di effettuare interventi di greening, ad esempio riducendo il proprio impatto ambientale o partecipando attivamente a campagne per la salvaguardia ambientale. Per fare ciò, è importante attrarre le giuste persone, ovvero candidati che siano sensibili a questi temi, e con le giuste competenze. Per questo motivo, l’ambiente è spesso uno dei temi prominenti nelle campagne di Employer Branding. Tuttavia, c’è il rischio che questi sforzi vengano percepiti come greenwashing, ovvero la percezione da parte dei potenziali candidati che l’azienda simuli interesse per l’ambiente con tentativi poco efficaci (ad. Es regalando una borraccia di alluminio ad ogni dipendente) senza investire in processi ben più impattanti (ad es. l’inquinamento derivato da processi produttivi inefficienti). In breve, se non ci sarà coerenza tra comunicazione e politiche aziendali, i tentativi di attrarre talenti con la green HR potrebbero risultare controproducenti.

 Giovani e Gen Z

Sapere come i giovani interpretano e navigano il mondo del lavoro è fondamentale. Ed essere consapevoli che i giovani cerchino supporto e formazione, oltre che ad ambianti lavorativi che ne promuovano lo sviluppo personale e professionale, non basta più. Il contesto è cambiato negli ultimi anni; ad esempio, il mercato del lavoro si è evoluto, lasciando spazio alla cosiddetta gig economy, ovvero il lavoro indipendente o “a progetto”. Il fatto che sia in aumento tra i giovani significa che siano in aumento posizioni con autonomia, flessibilità e varietà nel proprio lavoro, ma anche diminuzione di stabilità di impiego e di salario. La chiave sarà quindi quella di offrire posizioni flessibili in termini di autonomia lavorativa e di varietà di mansioni, ma che garantiscano una stabilità che la gig economy non potrà mai garantire.

Un altro aspetto che favorirà l’inserimento dei giovani sarò l’attenzione alla Diversity ed Inclusion, ovvero politiche e culture aziendali che facilitino l’inclusione di categorie fragili di persone. Infine, occorrerà ripensare alle competenze di base, per tutti; se da una parte, infatti, non necessariamente i giovani conoscono la tecnologia meglio dei lavoratori più anziani (quanti di loro scrivono mail o apprendono ad utilizzare correttamente browsers e il famigerato pacchetto Office?), è anche vero che i lavoratori attuali dovranno imparare ad interiorizzare il modo di comunicare e gli strumenti dei più giovani. La vera sfida sarà cogliere il giusto bilanciamento tra la formazione dei giovani al lavoro in azienda e l’istruire il personale interno a lavorare con le nuove generazioni.

Management e competenze Digitali

Le competenze che occorrono per cogliere a pieno le potenzialità degli strumenti digitali saranno sempre di più fondamentali per le figure manageriali. Innovazioni come IA, algoritmi e automatizzazione influenzeranno ogni tipologia di ruolo. Ad esempio, l’HR potrà contare su algoritmi predittivi di performance, il marketing su metriche sempre più complesse, le vendite su strumenti di supporto al cliente sempre più sofisticati (come le chatbot) e canali sempre più diversificati, e così via.

La sfida sarà quella di attrarre figure con competenze critiche per percepire, catturare e riconfigurare il potenziale delle nuove tecnologie. Occorrerà focalizzare l’attenzione su skills come l’analisi dei trend, oppure la capacità di analizzare il potenziale di una specifica tecnologia per capire come trasferirlo nella propria organizzazione. Anche la capacità di adattabilità e di leadership saranno fondamentali, la prima perché comporta prontezza nel rispondere ad un ambiente sempre mutevole, la seconda per la sua importanza nella comunicazione delle nuove tecnologie ai collaboratori.

 

Il futuro è già qui, e come abbiamo visto le buone pratiche del reclutamento non possono prescindere da un atteggiamento proattivo che evidenzi ed accompagni questi 3 temi, che possiamo definire come evergreen e che caratterizzeranno il mondo del lavoro per anni a venire.

Unveil Consulting s.r.l.

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Cinque infallibili consigli per farsi notare da chi assume

Cinque infallibili consigli per farsi notare da chi assume

Il mondo della ricerca e selezione del personale nel corso del tempo ha subito e sta tuttora subendo delle importanti trasformazioni soprattutto per quanto riguarda gli strumenti che le Aziende e le Società di Selezione utilizzano per individuare i candidati idonei alle posizioni da ricoprire.

Negli anni ’80 e ’90 la selezione veniva fatta utilizzando annunci fatti sulla carta stampata: i candidati potevano pertanto inviare il proprio curriculum vitae cartaceo ad un indirizzo fisico; successivamente, con l’avvento dei siti di pubblicazione di annunci on line e con la diffusione dell’utilizzo di internet e delle posta elettronica gli annunci di lavoro sono stati trasferiti sulle piattaforme digitali e per candidarsi era quindi necessario inviare il proprio curriculum ad un indirizzo email. Oppure inserire il proprio curriculum all’interno del database del sito di pubblicazione di annunci affinché potesse essere reso visibile ai selezionatori.

Nel corso degli ultimi 10 anni hanno invece preso piede gli strumenti di social recruiting ovvero l’utilizzo dei social network anche per far incontrare la domanda e l’offerta di lavoro: questa è stata una vera rivoluzione in quanto i selezionatori possono effettuare delle ricerche direttamente sui profili presenti sui vari social network (linkedin in primis, ma non solo) pertanto senza avere a disposizione il curriculum completo del candidato.

Oggi si parla di nuove frontiere del recruiting immaginando e creando algoritmi sempre più complessi che dovrebbero permettere di accedere ad un quantitativo di dati tale da permettere ai recruiter di individuare tutte le informazioni relative ai candidati senza di fatto dover avere accesso ad alcun curriculum.

Appare quindi chiaro come questa evoluzione negli strumenti utilizzati abbia notevolmente modificato l’approccio: una volta le aziende palesavano le esigenze e le persone si candidavano, oggi sempre più spesso i selezionatori cercano i propri candidati senza aspettare di riceverne il curriculum. In quest’ottica pertanto non basta più avere un curriculum ben scritto, ma deve essere redatto in maniera tale da essere visibile a chi lo cerca. 

Pertanto, quando scriviamo il nostro curriculum vitae e lo inseriamo nel database di un portale per la ricerca di lavoro o di una società di selezione e quando creiamo i nostri profili social dedicati alla ricerca del lavoro dobbiamo cambiare punto di vista: non bisogna infatti porsi come obiettivo quello di raccontare la propria storia professionale, ma quello di scrivere le informazioni che l’azienda che mi interessa potrebbe cercare.

Quindi sarà importante:
1. Utilizzare dei termini che sono di uso comune: ad esempio se mi occupo di controllo di gestione o voglio fare il controller dovrò mettere in evidenza la parola controller (nella headline del mio profilo linkedin o nel curriculum).
2. Tenere presente che il job title che abbiamo nella nostra azienda potrebbe non essere così chiaro nel riassumere il nostro ruolo oppure potrebbe essere talmente particolare da risultare introvabile. E’ buona regola quindi inserire un job title comprensibile anche se leggermente diverso da quello che abbiamo sul biglietto da visita.
3. Se si sono conseguite delle certificazioni riconosciute in ambito linguistico (es. IELTS) o di altro tipo è bene inserirle nel profilo/ curriculum.
4. Considerare che non si sta scrivendo un tema o una lettera ad una persona: il nostro curriculum o profilo dovrà essere correttamente letto da un algoritmo che ragiona per parole chiave quindi bisogna inserire le parole giuste anche rischiando di essere meno precisi, ci sarà successivamente il tempo per poter integrare le informazioni durante un colloquio.
5. Inseriamo la città nella quale viviamo o nella quale vogliamo lavorare: se sono originario di Gorizia, ma vivo da 10 anni a Milano e voglio rimanerci scriverò sul curriculum e nel profilo Milano come città. Se scrivessi Gorizia per rispettare la residenza non risulterò mai nelle ricerche che hanno come keyword “Milano”.

Piccoli accorgimenti, ma di sicura efficacia!

Oktopous s.r.l.

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Cos’è il Quiet Quitting e come condizionerà il mondo del lavoro

Cos’è il Quiet Quitting e come condizionerà il mondo del lavoro

C’è un fenomeno a livello globale che forse cambierà il mondo del lavoro nei prossimi anni: il Quiet Quitting.

Che Cos’è

L’abbandono silenzioso (questa è la traduzione in italiano) in sostanza si concretizza, da parte dei dipendenti, nell’eseguire il minimo indispensabile nel rigoroso rispetto delle proprie mansioni e del proprio orario di lavoro. I lavoratori in pratica rifiutano gli straordinari, la partecipazione a nuovi progetti aziendali, non si rendono disponibili alla reperibilità. In termini più generali la sempre minore disponibilità ad aderire alla vita e ai valori aziendali. In altre parole, l’antidoto allo stress da lavoro è fare lo stretto necessario e non dare troppa importanza ai problemi che sorgono in ufficio.

I social

Tutto sembra essere partito da un hashtag (#quietquitting) la scorsa estate.

Zaid Khan, ingegnere ventenne di New York, ha raggiunto in pochi giorni 9 milioni di visualizzazioni su Tik Tok. Sui social media il dibattito e l’interesse crescono. Spaventati dal rischio burnout gli utenti ne condividono modalità di applicazione e motivazioni. 

Non sono solo i Manager che lavorano 16 ore al giorno, ma anche gli impiegati, a ricercare maggiore tranquillità sul lavoro.

Effetto Lockdown

L’esperienza vissuta da tutti noi durante il periodo di picco del covid, che ci ha costretti a lavorare da casa, ha convinto moltissimi lavoratori del fatto che si può essere egualmente produttivi ed efficienti anche non lavorando in presenza.

Inoltre, per molti la carriera ha perso di importanza, di fatto si slega dalla vita privata. La famiglia e la qualità della vita hanno scalato la personale classifica delle priorità di molte persone.

Parole d’ordine

Il nuovo mantra è “lasciare andare”, “disinnescare”. “ritirarsi”.

Anziché tirare fino a tardi in ufficio o impegnarsi nell’organizzazione di iniziative di team building o proporsi volontariamente per l’affiancamento delle persone appena assunte i sostenitori del quiet quitting rifiutano la cultura “workaholic” limitandosi a svolgere soltanto le mansioni a loro richieste.

Nel nostro Paese e nel mondo

Secondo un recente rapporto di Gallup, in Italia soltanto il 4 per cento delle persone che lavorano si dichiara coinvolto o entusiasta del proprio lavoro: è la percentuale più bassa tra quelle di tutti i 38 paesi europei presi in considerazione. In Europa il dato è migliore, ma non di molto: 14%.E’ comunque la più bassa tra quelle di tutte le 10 aree del mondo prese in considerazione. Negli USA, dove il livello di soddisfazione è in generale più elevato, esiste comunque un marcato squilibrio generazionale: il 54 per cento dei nati dopo il 1989 riferisce di non sentirsi preso dal proprio lavoro.

In conclusione

Per molte persone il Quiet Quitting è legato all’esigenza di dedicare parte del proprio tempo ad hobby e passioni (che possono rappresentare anche una nuova opportunità di lavoro) riscoperte durante i lockdown.

Non significa non avere voglia di lavorare, quanto piuttosto distanziarsi da comportamenti tossici entrati ormai nella nostra cultura lavorativa.

Vittorio Nascimbene

Founder & Ceo, Ricercamy s.r.l.

 

Mi occupo da vent’anni di Ricerca e Selezione del Personale.

Una forte curiosità unita al desiderio di trovare nuove formule per soddisfare le esigenze di recruiting dei clienti sono la mia missione.

Credo fortemente che l’unione di competenze e tecnologia rendano l’Head Hunting Smart.

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Balla che ti passa: l’importanza della Digital Reputation

Balla che ti passa: l’importanza della Digital Reputation

Recentemente è comparso in rete un video privato che ritrae la premier finlandese Sanna Marin ballando con amici. Questo “scandalo” ha attratto molte critiche, ma anche molti post di supporto ad una donna e figura politica che, a parer di chi scrive, non ha fatto niente di male.

Posto che il lavoro di un premier è quello di rappresentare un Paese, e qualsiasi azione o opinione porta con sé una responsabilità istituzionale, possiamo dire che questo episodio non abbia scalfito di molto la reputazione della premier, anche grazie all’immediata solidarietà sia dei cittadini finlandesi sia di personalità dello spettacolo e della politica.

Curiosamente la stessa cosa non può essere detta dei detrattori della premier che, indignati per il comportamento della Marin, hanno espresso la propria opinione online. In definitiva, i cosiddetti “haters” hanno pubblicamente peggiorato la propria reputazione online, mentre ciò non è accaduto alla premier.

Quando parliamo di Digital Reputation parliamo della immagine che ognuno di noi si costruisce in rete. E lo fanno tutti, che lo vogliamo o no.

Se lasciamo per un attimo da parte il personal branding e la creazione di contenuti finalizzata alla “vendita” della nostra professionalità, rimaniamo con tutti quei contenuti che occasionalmente pubblichiamo su Facebook, Instagram, Tik Tok, YouTube e LinkedIn, non necessariamente per attrarre “mercato”, ma per esprimere le nostre opinioni.

Molti credono erroneamente che in uno spazio virtuale sia possibile esprimere qualunque tipo di concetto, e a causa di questo, negli ultimi anni, sono sorti fenomeni sgradevoli come il trolling, il cyberbullismo, il flame online e la diffusione di fake news. A questo si aggiunge la diffusione di opinioni più o meno informate e dai toni non sempre pacati, che non riguardano solamente la vita privata di una figura politica, ma anche argomenti troppo complessi per essere ridotti ad un post “rumoroso”.

Anche escludendo comportamenti apertamente illegali, è importante considerare quello che pubblichiamo online, poiché tutti, dai datori di lavoro ai potenziali clienti, possono leggere i nostri contenuti e giungere a conclusioni in merito a chi siamo personalmente e professionalmente.

Il Curriculum che scriviamo tutti i giorni

Non è un mistero che le aziende possano raccogliere informazioni tramite l’utilizzo dei social sui propri dipendenti o su persone che si candidano ad una certa posizione lavorativa. È quindi fondamentale possedere una forte reputazione digitale, rilevante nel momento in cui si cerca un lavoro o per quanto riguarda l’immagine di un’azienda, collaterale anche ai suoi dipendenti.

È poco utile impegnarsi a scrivere un CV impeccabile se la nostra attività pubblica online ci presenta come sgrammaticati, incoerenti o violenti. Per evitare qualunque conseguenza a riguardo, è fondamentale mantenere un comportamento adattivo e proattivo all’interno dello spazio virtuale, in modo da riuscire a coltivare una reputazione digitale che possa essere a nostro vantaggio.

Con comportamento proattivo, intendiamo l’intervento atto a proteggere la nostra immagine digitale, ad esempio:

1) Rimuovere contenuti passati che potrebbero ledere la reputazione (digitale, personale e/o aziendale)

2) Evitare discussione e critiche online 

3) In caso si presenti l’evenienza, rispondere alle critiche, senza censurarle

4) Riflettere bene prima di postare qualunque tipo di materiale, cercando di anticipare quelle che potrebbero essere le criticità e le conseguenze future

5) Avere un controllo attivo sulle proprie pagine, evitando di condividere contenuti inappropriati

6) Verificare la veridicità di un contenuto prima di diffonderlo

7) Selezionare in maniera adeguata la cerchia dei propri contatti

I suggerimenti che abbiamo dato non sono preziosi solamente per chi cerca lavoro, ma anche per coloro che sono già impiegati o alla guida di aziende.

Post o commenti che ledono l’immagine aziendale o che trasmettono poca professionalità possono seriamente minare la posizione del lavoratore e costare parecchio, in termini sia di denaro sia di percezione del brand, alle aziende.

Unveil Consulting s.r.l.

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Il difficile ruolo del Responsabile HR di un’Azienda imprenditoriale

Il difficile ruolo del Responsabile HR di un’Azienda imprenditoriale

Nel corso della nostra storia abbiamo più volte supportato le realtà imprenditoriali nostre Clienti nella selezione della figura del Responsabile delle Risorse Umane. La nostra esperienza ci ha permesso di notare come ci sia stata nel corso degli ultimi anni in particolare una decisa evoluzione nella definizione del profilo: se fino a qualche anno fa la tendenza era quella di orientarsi verso persone provenienti da esperienze prevalenti presso multinazionali, oggi invece si tende a puntare su professionisti che abbiano già vissuto un contesto imprenditoriale.

Quello che abbiamo potuto rilevare raccogliendo i briefing da parte dei nostri interlocutori e che l’inserimento di professionisti anche di lunga esperienza maturata però unicamente in contesti molto strutturati e avanzati dal punto di vista delle politiche HR è stata una scelta spesso dettata dal possesso da parte di queste persone di metodologie certificate, essendosi formati in contesti considerati vere e proprie scuole in tal senso.

Specularmente, professionisti provenienti da multinazionali hanno colto queste opportunità con grande entusiasmo: l’ipotesi di avere un foglio bianco sul quale poter scrivere una nuova politica HR è stata spesso accolta con grande favore.

Questo connubio però non si è rivelato spesso vincente: in particolare, l’aver acquisito una metodologia così rigorosa ha reso molto difficile l’inserimento con successo di queste professionalità che si sono spesso scontrate con le peculiarità di contesti assolutamente non abituati all’esistenza di una funzione HR moderna e strutturata.

Quali sono le peculiarità di un’Azienda imprenditoriale che rende così complesso il ruolo del Responsabile HR?

  1. In primo luogo si tratta di realtà nelle quali sia il management ( che spesso è emanazione della Proprietà stessa) sia gli operativi sono abituati ad avere un contatto diretto con la direzione aziendale quindi hanno necessità di “ digerire” la presenza di un filtro;
  2. Le persone che popolano queste Società non conoscono tematiche legate a performance management, piani di formazione, employer branding, talent acquisition ecc. che sono invece all’ordine del giorno in contesti più evoluti. Pertanto, non è per loro così immediato riuscire a comprenderne l’ utilità.
  3. La mancanza di una struttura e a volte di un regolamento determina spesso una mancanza di disciplina da parte dei dipendenti: senza che questo sfoci in situazioni patologiche, può capitare che vi siano dei comportamenti e dei linguaggi più “ da bar” che da posto di lavoro che vengono tollerati, ma che non possono perdurare.
  4. L’oggettiva resistenza al cambiamento soprattutto delle figure storiche e più senior presenti in Azienda che spesso godono di grande credibilità e considerazione nei confronti dell’imprenditore che se non correttamente gestite possono essere un ostacolo a qualsiasi spinta innovatrice.

Accade invece  che molti candidati abbiano un approccio superficiale dando per scontate una serie di problematiche e non analizzando a fondo la situazione prima di intervenire: questo li fa apparire come persone aggressive con un atteggiamento quasi supponente forti delle esperienze fatte in precedenza. Oppure, al contrario, rischiano di non riuscire a legittimare il proprio ruolo.

L’aspettativa dell’imprenditore è quella di avere una persona che sappia darsi le giuste priorità, che abbia le sensibilità per capire l’entità del cambiamento che si sta portando e che condivida con il management i “benesseri” e i “malesseri” dell’organizzazione.

Flessibilità, pragmatismo, intelligenza e assertività sono le caratteristiche che non possono mancare a questa figura

I candidati che hanno avuto un inserimento felice sono stati infatti quelli che hanno di fatto accantonato temporaneamente quanto acquisito e con grande umiltà hanno prima analizzato il contesto e poi hanno iniziato a costruire policy e processi partendo dalla base e applicando nei tempi e nei modi giusti quanto appreso in precedenza.

Se quindi state cercando il vostro nuovo Responsabile HR oppure se siete un candidato ad una posizione di questo tipo, tenete presente questi aspetti dettati da chi prima di voi ha vissuto questa situazione in prima persona.

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Come i recruiter dovranno lavorare sulle proprie competenze

Come i recruiter dovranno lavorare sulle proprie competenze

Grandi dimissioni, smart working, pandemia e guerra stanno segnando in modo indelebile le economie mondiali. Come conseguenza di tutto ciò le aziende, per poter stare al passo con questi enormi cambiamenti di contesto, si trovano nella condizione di rivedere la propria organizzazione e, a cascata, i propri processi di recruiting.

Chi si occupa di selezione deve gestire significativi cali di assunzioni per alcuni profili e picchi mai visti per altri. I processi sono diventati spesso frenetici.

Tra i recruiter c’è chi continuerà a gestire profili con caratteristiche simili a quelli conosciuti e chi, invece, dovrà selezionarne di completamente nuovi. In ogni caso sarà necessario per tutti ampliare e migliorare le proprie competenze attraverso processi di formazione continua. Ciò perché le skills richieste dal mercato sono in continuo mutamento, ma soprattutto si stanno affacciando al mondo del lavoro professionalità completamente nuove.

La formazione dei recruiter sarà quindi il tema centrale dei prossimi mesi per tutte le aziende che vorranno lavorare sul miglioramento del proprio capitale umano.

Oltre ad implementare le proprie competenze, chi si occupa di selezione, dovrà introdurre processi formativi all’interno della propria azienda, volti ad accrescere le competenze di tutte le risorse presenti.

La formazione si concentrerà sia sulle hard skills (competenze tecniche) sia sulle soft skills (abilità personali).

Tornando alla figura del recruiter, oggi non è più sufficiente che sia in grado di valutare le competenze tecniche del candidato che si sta colloquiando per una specifica posizione. Molte mansioni richiedono infatti sempre più abilità di comunicazione, di lavoro in team, di orientamento all’obiettivo e gestione dello stress. Saper riconoscere unicamente se il candidato è molto competente nel disegno cad, ad esempio, non garantisce che la persona selezionata sia la migliore per ricoprire quel dato ruolo all’interno di un contesto strutturato.

Ciò perché quella figura, una volta inserita all’interno dell’azienda, dovrà essere in grado di dialogare con i colleghi, di confrontarsi spesso anche da remoto, di avere un orientamento agli obiettivi, ecc…

Temi quali diversità e inclusione che fino a pochi anni fa erano relegati solo a qualche convegno di direttori del personale, oggi sono imprescindibili in tutte quelle aziende che vogliono competere, non solo a livello globale, ma anche a livello nazionale.

In conclusione, queste nuove competenze saranno utili alla valutazione dei talenti, alla creazione di un employer branding efficace, alla gestione dei processi di recruiting da remoto, in un’ottica di continuo miglioramento della funzione HR. 

Vittorio Nascimbene

Founder & Ceo, Ricercamy s.r.l.

 

Mi occupo da vent’anni di Ricerca e Selezione del Personale.

Una forte curiosità unita al desiderio di trovare nuove formule per soddisfare le esigenze di recruiting dei clienti sono la mia missione.

Credo fortemente che l’unione di competenze e tecnologia rendano l’Head Hunting Smart.

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Perché l’Intelligenza Artificiale dovrebbe importare anche alle PMI?

Perché l’Intelligenza Artificiale dovrebbe importare anche alle PMI?

L’intelligenza artificiale è ormai uno strumento diffuso nel mondo del recruitment, e fa parte di un progressivo processo di automatizzazione ed ottimizzazione dei costi che prosegue ormai da diversi anni.

Un esempio è la tecnologia impiegata nelle attività di pre-screening, grazie a strumenti come i chatbot, ma anche dall’analisi automatizzata dei CV e dei profili presenti nei data base aziendali, che consistono nel ricercare parole chiave attinenti con l’offerta lavorativa, o esperienze specifiche in settori rilevanti per l’employer, assegnando priorità a candidati specifici.

Tuttavia, negli ultimi tempi si comincia a vedere come l’IA non sia utile solamente ad automatizzare i processi, ma anche a fornire dati e insight dapprima molto difficili da ottenere.

Le prospettive si stanno infatti ampliando rispetto all’utilizzo “tradizionale” della tecnologia nell’ambito reclutamento. Una intelligenza artificiale, che può essere definita come la simulazione dell’intelligenza umana da parte di un computer, può fare molto di più.

Ad esempio, l’IA può assistere l’azienda all’apertura di una posizione, predicendo quanto tempo il recruiter potrebbe metterci a trovare un candidato adatto. Può anche prevedere il costo associato alla ricerca, e la probabilità che una data persona lasci il lavoro entro un anno dall’assunzione.

Un altro caso di utilizzo dell’IA nel reclutamento è la possibilità di effettuare “skill matching”, identificando, per ogni candidato, la posizione ideale in azienda, anche grazie allo storico dei dati di performance dei dipendenti già in forze all’organizzazione.

Questo tipo di strumento supera la classica scansione dei CV, perché si basa su algoritmi che vengono alimentati dai cosiddetti big data, ovvero fonti massive di dati che consentono al software non solo di trovare corrispondenze fra dati già acquisiti, ma di predire determinati scenari futuri a partire dalla situazione attuale.

Verso i limiti, ed oltre

 

La grande differenza, quindi, tra efficienza data da un automatismo e insight fornito dall’IA, è che la funzione HR non solo svolgerà il proprio lavoro più in fretta, ma potrà prevendere, idealmente con sempre maggiore precisione, quanto un candidato rimarrà in azienda e quale sarà la sua performance, e la probabilità che si adatti al contesto organizzativo, sulla base del suo storico lavorativo.

I limiti di questa tecnologia sono però molti; c’è sempre il rischio che i bias e i preconcetti delle persone o dell’organizzazione stessa che alimenti l’IA con i propri dati, vengano trasmessi alla tecnologia ed amplificati in termini di scala. A parer di chi scrive, un altro problema è che potremmo presto assistere ad una normalizzazione di servizi che non solo analizzino la storia lavorativa di un candidato, ma anche i suoi post online, sui social ad esempio, profilando la persona in base alla sua “online print”. Questo fornirà una falsa sensazione di sicurezza al reclutatore, che riceverà quantitativamente ancora più dati sul candidato, senza che però siano necessariamente più utile a conoscere chi si abbia davanti.

 

PMI: Perché Mi Interessa?

 

Gli strumenti IA come quelli descritti sono utilizzati da grandi aziende, e hanno consentito di ottenere milioni di dollari di risparmio, in particolare nella prevenzione del turnover. Conoscere questi strumenti dovrebbe importare alle realtà italiane, specialmente le PMI.

Si, anche se non li useranno mai.

Questo perché la nascita di questi strumenti ci sta dicendo che, nel futuro, la funzione HR sarà sempre più strategica, e dovrà sempre di più giocare un ruolo fondamentale negli obiettivi di bilancio. Basta porsi le domande giuste.

Infatti, i milioni di risparmi ottenuti da aziende come IBM, Credit Suisse e Nielsen mostrano che si dovrebbe spostare l’attenzione su aspetti “invisibili” come il turnover, l’adattamento all’ambiente di lavoro, l’importanza dell’onboarding e di processi di reclutamento efficaci.

E per farlo non serve necessariamente una IA, e nemmeno un approccio quantitativo, basato sui big data.

L’importante è che sia la proprietà sia la funzione HR delle PMI riconoscano il valore di un approccio strategico, umano e di bilancio alla gestione del personale, in particolare focalizzando l’attenzione a specifiche domande, come “questa persona si troverà bene da noi?” “che esperienze ho avuto in passato con dipendenti dal profilo simile a questa persona?”, “cosa posso fare per rendere la vita migliore a questo lavoratore?” e “quali voci di bilancio sono direttamente o indirettamente migliorabili lavorando sulle politiche HR?”.

Per questo può essere utile, per le PMI, guardare agli esempi portati dalle organizzazioni più avanzate per capire quali siano le pratiche più vantaggiose per azienda e persona. Gli obiettivi di performance e benessere che l’IA può aiutare a raggiungere sono infatti replicabili anche in scale ridotte, e senza algoritmi complessi.

Ad esempio, se le grandi multinazionali hanno risparmiato milioni analizzando ed anticipando le cause del turnover grazie all’IA, lo stesso obiettivo può essere raggiunto da una piccola funzione HR, che utilizzi strumenti che prediligano la qualità alla quantità e adottando una prospettiva umana ed aperta, parlando francamente e coinvolgendo i dipendenti.

L’IA può quindi ispirarci, mostrandoci su quali elementi sia più importante lavorare, ma le soluzioni sono e saranno sempre applicabili anche su scale ridotte, grazie ad un approccio umano e qualitativo.

Unveil Consulting s.r.l.